Lunedì 3 Marzo 2025
LINDA MEONI
Magazine

L’arte dei luoghi di Daniel Buren: "Idee? Combino storie e paesaggi"

A Pistoia da sabato la grande mostra del maestro francese. "Mi lascio ispirare da quello che vedo “in situ“"

Daniel Buren, 85 anni. Da sabato a Pistoia la mostra Daniel Buren. Fare, disfare, rifare. . In alto, un’installazione a Villa di Celle

Daniel Buren, 85 anni. Da sabato a Pistoia la mostra Daniel Buren. Fare, disfare, rifare. . In alto, un’installazione a Villa di Celle

"Magnifique". Lo dice e lo ripete guardandosi attorno Daniel Buren, qui dall’altana di Palazzo de’ Rossi, spalancata ad angolo giro sulla città di Pistoia: di là il Campanile di piazza del Duomo, a fianco, appena visibile, il Battistero, e a destra la cupola del Vasari. "Magnifique": prende il telefonino dalla tasca, scatta foto. A voler cercare in quella ragnatela urbana non ci vuole molto per individuare quei luoghi dai quali lo stesso Buren è passato: il padiglione dell’emodialisi del vecchio ospedale del Ceppo e poi più in là, quell’oasi di arte ambientale costruita da Giuliano Gori che è Villa di Celle, a svettare sulle colline di Santomato. Manca all’appello la Villa medicea La Magia di Quarrata. Da qui non si vede. Qui l’artista francese, tra i nomi più autorevoli e influenti della scena artistica, nel 2005 ha realizzato Muri Fontane a tre colori per un esagono, monumentale fontana piena delle sue firme artistiche: il colore, le bande verticali larghe 8,7 centimetri, la luce.

Buren è tornato a Pistoia, fortemente voluto da Pistoia Musei con la sua direttrice Monica Preti (con il sostegno di Fondazione Caript e in collaborazione con Galleria Continua) che lo ospiterà nelle sue sedi da sabato 8 marzo per la grande mostra Daniel Buren. Fare, disfare, rifare. Classe 1938, Buren ha fatto del rapporto coi luoghi la sua ragione d’espressione sin da subito, chiusa quella breve parentesi negli anni Sessanta nell’ambito della figurazione. Lo incontriamo in fase di allestimento, ancora ignari di cosa si potrà vedere a Palazzo Buontalenti.

La Toscana è meta artistica ricorrente per lei. Cosa la porta qui più spesso che altrove?

"Qui per la prima volta nella mia vita ho incontrato collezionisti privati che hanno accettato di comprare una mia opera pur sapendo di non poterla rivendere. Giuliano Gori è stato uno dei primissimi. Mi aveva invitato ancora prima dell’esperienza a Villa di Celle, negli anni Ottanta, ma fui impossibilitato a partecipare allora. Oltre alla chiamata di collezionisti privati, a Firenze, a San Piero a Sieve e Cortona, ci sono stati anche eventi pubblici, in particolare l’installazione nella piazza principale di Colle Val d’Elsa, quando l’architetto Jean Nouvel già stava intervenendo in quei luoghi. Poi Pistoia, con il padiglione di emodialisi, la fontana di Villa La Magia. Difficile non trovare in Toscana luoghi adatti, luoghi che non siano magnifici".

A proposito di Gori, profilo cui il mondo dell’arte deve molto, che ricordo ha di lui?

"Non ho aneddoti particolari, ho di certo il ricordo di una persona che trasmetteva molto entusiasmo e calore, uniti a un grande interesse per i procedimenti artistici. Da lui ho ricevuto forte sostegno intellettuale durante l’elaborazione dei miei lavori. Quello di Gori per l’arte è stato un interesse primario. È stato un antesignano, tra i primi a realizzare una collezione del genere e a proseguirla nel tempo".

Come nasce la simbiosi con un luogo?

"Io non ho idee, è il luogo a suggerirmele. È un’elaborazione che combina architettura, storia e paesaggio. Ma anche la gente che incontro, che mi invita e con la quale io lavoro. Tutto questo partecipa alla creazione di questi lavori che io chiamo ‘in situ’".

Si ritrova nella definizione di ‘artista’? L’idea è che il suo tipo di gesto sia molto di più…

"Sin da giovane ho avvertito diffidenza verso certe parole che trovo vuote di senso. Come ‘artista’ o ‘pittura’. Qualche volta utilizzo il termine ‘scultura’ per dare idea di quello che faccio. Ma sono parole che di solito elimino, preferisco parlare più in generale di ‘lavori’".

Che cosa si offre al visitatore nella mostra di Pistoia?

"Questa è un’occasione particolare che non ha a che vedere col mio approccio usuale. Otto volte su dieci elaboro una mostra guardando il luogo, lavoro sul posto. Stavolta invece, assecondando un’idea di Monica Preti, si è scelto di proporre al pubblico opere appartenenti a collezioni private, altrimenti non visibili, assieme ad opere pubbliche già esistenti sul territorio pistoiese. Penso che pochi saranno in realtà i visitatori che faranno questo percorso nei luoghi fisici, ecco allora che s’inserisce il museo dove ritrovare lavori esistenti o esistiti in varie parti d’Italia. Pezzi che rifarò poiché distrutti nel tempo partendo da zero. Il paradosso del mio lavoro è che non è possibile offrire una mia retrospettiva, tornare indietro nel mio percorso artistico a partire dalle mie opere, dal momento che si tratta di lavori impossibili da spostare. Non solo dal punto di vista fisico, ma anche intellettuale poiché nati per i luoghi che li ospitano. Quella di Pistoia alla fine si pone come una sorta di critica all’idea stessa di retrospettiva".

Ritornando nei luoghi dei suoi lavori permanenti pensa mai ‘avrei potuto farlo in altro modo’?

"Mai. Tutt’al più ritornare in quei luoghi potrebbe essermi d’ispirazione per altri lavori. Questo ha a che fare con quel bisogno essenziale che ho di trovarmi in un luogo per creare, a quell’assenza di idee preconcette".

Cosa pensa dei musei oggi, cosa dell’arte in genere?

"Malo, malo (ride amaramente, ndr)! I musei come intesi fino a cinquant’anni fa potevano avere anche uno stile interessante. Quello che invece vedo oggi sono migliaia di musei in cui neanche chi li gestisce sa cosa sta esponendo, qual è l’idea. Nella produzione attuale invece si vede di tutto e io non capisco tutti quei collezionisti e amatori d’arte che si affollano in migliaia per fiere o biennali per vedere un ammasso di opere senza collegamento fra loro, se non di tipo puramente formale".