
Immaginate la scena: un insegnante milanese dei nostri tempi - Edoardo Meucci, antifascista convinto e parecchio asociale – viene catapultato...
Immaginate la scena: un insegnante milanese dei nostri tempi - Edoardo Meucci, antifascista convinto e parecchio asociale – viene catapultato in una scuola elementare di Predappio nell’anno domini 1890. E chi poteva ritrovarsi tra i suoi alunni? Il piccolo Benito Mussolini. Ovviamente non parliamo del duce, ma di un bambino. Violento e anaffettivo. L’incontro è a dir poco esplosivo. E a quel punto si impone l’ironico dilemma: farlo fuori o provare a educarlo? L’anima di Benito, Presente!, edito da Baldini+Castoldi (256 pp., 18 euro), è sostanzialmente questa, ma sa anche espandersi. Perché Paolo Ruffini, che l’ha disegnata con amore offrendo a chi legge una fiaba moderna e originale, ha scelto anche di incastrarla in un gioco di paradossi che va oltre l’ovvio. La storia si muove infatti oltre il destino dei protagonisti. Perché parla di scuola. E quindi di noi. "Non è un caso – sottolinea Ruffini non mascherando la sua emozione –. La scuola ci appartiene, perché passiamo tra quelle mura, e con gli insegnanti, molto tempo. Era così ai miei tempi, ma non mi pare che oggi le cose siano molto diverse".
Tra tanti alunni perché proprio Mussolini?
"Perché, un po’ come Pinocchio, Mussolini è un archetipo. In particolare, è legato alla gestione maligna del potere. Ma non nasce dittatore. Per questo ho pensato che potesse essere interessante affrontarlo da bambino: i bambini sono esseri puri, ma anche anime complesse. E allora mi sono chiesto: cosa avrei fatto se me lo fossi trovato davanti?".
Ed è quello che si chiede soprattutto il protagonista…
"Esatto. E prova a educarlo, ma in agguato c’è un grande paradosso: Edoardo è un insegnante anaffettivo, non crede nell’insegnamento. È insomma un’anima paradossale. A quel punto lo scontro tra i due va oltre ciò che potremmo immaginare…".
Che Mussolini è quello con i calzoni corti?
"In realtà non c’è molto sulla sua infanzia. Sappiamo comunque che la sua è stata molto difficile. Il piccolo Mussolini, per esempio, non sa cosa sia l’amore, e lo scrive anche in un compito che il protagonista gli assegna. Perciò ho cercato in qualche modo di capirlo. Ovviamente ciò non giustifica in alcun modo ciò che è venuto dopo. Alcuni episodi che racconto nel libro sono comunque veri".
Il romanzo è anche un affresco dell’Italia di fine Ottocento in un paese di provincia. Si stava meglio prima o è meglio adesso?
"(Ride). Difficile dirlo. Ma forse avremmo dovuto fermarci al Nokia. La geolocalizzazione è stata uno dei nostri drammi. E non solo. A me le giovani generazioni sembrano troppo “educate”, molto politicamente corrette. La loro ribellione si manifesta soprattutto sul web, ma è tutto così evanescente…".
E i bambini dei nostri tempi come sono?
"Sono dei capolavori, come lo erano quelli che li hanno preceduti. Ma vivono in un mondo che non ha più sogni. E la colpa è anche di certe tecnologie. Se un bambino chiede a chat gpt di rivelargli se Babbo Natale esiste o no, vuol dire che abbiamo di fronte il vuoto".
E lei un’anima ce l’ha?
"Sì. Ma non so se sono ciò che gli altri vedono. Vorrei far ridere gli altri provando a rendere più leggeri i problemi che hanno".
C’è qualcosa che nessuno le ha mai chiesto?
"Non mi viene mai chiesto il perché delle cose. Per esempio: da cosa sono mosso?"
Lo dica allora…
"Un po’ dalla noia. Ma vorrei lasciare soprattutto una traccia tangibile, di
spessore".