Mercoledì 18 Settembre 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

La vera storia di Oskar Schindler, il nazista che salvò gli ebrei

Una nuova biografia ricostruisce anche i lati più oscuri di uno dei più famosi ‘Giusti tra le Nazioni’

Una famosa immagine del film di Spielberg Schindler's List

Roma, 18 settembre 2024 – Oskar nasce nel 1908 in una remota cittadina nella regione dei Sudeti, spicchio di Cecoslovacchia abitato in prevalenza da una popolazione di lingua tedesca. Un luogo destinato ad essere fatale per la storia d’Europa. E’ un giovane estroverso e appassionato, pieno di ambizioni. Vuole godersi la vita, avere successo, arricchirsi: sogna di diventare un grande imprenditore e di vivere nel lusso. Si dedica alle corse in automobile, non si perde una festa, beve smodatamente. Si sposa presto con Emilie, una ragazza assennata, e comincia subito a tradirla, come farà per tutta la vita. Nel 1935, a 27 anni, si iscrive a un partito filonazista dei Sudeti: lo convince l’idea hitleriana di una Grande Germania, nella quale riunire tutti i popoli di lingua tedesca.

Nel ‘38 fa domanda di iscrizione al Partito nazista tedesco, sente d’essere sulla cresta dell’onda storica vincente. Diventa una spia del servizio segreto della Wehrmacht. La sua grande occasione arriva con l’inizio della guerra e l’occupazione tedesca della Polonia. L’élite ebraica locale viene eliminata – fisicamente – e occorre prendere le redini di imprese, aziende, uffici. Oskar arriva e Cracovia e rileva dal fallimento un’azienda, che produce pentole smaltate, per poi passare a produzioni belliche. A poco più di trent’anni diventa così un imprenditore di successo: la Emalia arriverà ad avere centinaia di dipendenti. Oskar è un uomo gioviale e carismatico, stringe relazioni di amicizia coi gerarchi nazisti: insieme fanno baldoria e trafficano al mercato nero. Schindler capisce rapidamente come ottenere ciò che vuole ogni volta che la sua azienda ne abbia bisogno: alcol, cibi introvabili, denaro, insomma la corruzione. È una lezione che gli servirà al momento di mettere in pratica il progetto più ardito e più difficile della sua vita.

Oskar, naturalmente, è Oskar Schindler, “il nazista che salvò gli ebrei” come recita il sottotitolo della biografia (Oskar Schindler, TS edizioni) che Francesca Cosi e Alessandra Repossi hanno dedicato a uno dei più famosi “Giusti fra le Nazioni”, come sono chiamati in Israele i non ebrei che hanno aiutato e salvato le vittime designate della Shoah. La svolta, per Oskar, arriva nel 1942, nei mesi seguenti la Conferenza di Wansee (20 gennaio), quando il vertice nazista avvia la Soluzione finale per gli ebrei europei. Cominciano le deportazioni anche a Cracovia e vengono coinvolti alcuni dipendenti della Emalia. Oskar resta scioccato dai metodi usati dagli occupanti per sgomberare il ghetto della città: una deportazione brutale, accompagnata da esecuzioni sommarie, anche di bambini e persone inermi. Da quel momento Schindler si impegna, con fantasia e coraggio, per salvare almeno i dipendenti della Emalia, più di un migliaio.

È la storia raccontata da Steven Spielberg nel 1993 con “Schindler’s List”, vincitore di sette premi Oscar. Il capolavoro di Schindler è il trasferimento della fabbrica da Cracovia, ormai minacciata dall’avanzata dell’esercito sovietico, a Brünnlitz, nei fatali e natii Sudeti. Schindler, per attuare questo progetto e risparmiare ai “suoi ebrei” la deportazione nei campi di sterminio, rischia moltissimo, viene anche arrestato dalla Gestapo e più volte si trova a inventare soluzioni in apparenza impensabili e impossibili. Ma riesce nell’intento, compilando le famose liste di lavoratori “necessari alla produzione”, e l’8 maggio 1945 tiene ai suoi dipendenti un discorso d’addio, trascritto dalle stenografe della Emalia e oggi custodito al museo Yad Vashem di Gerusalemme; in un passaggio dice così: “Per migliaia di tedeschi il fatto che milioni di voi, che i vostri genitori, figli e fratelli siano stati uccisi non era accettabile e oggi stesso vi sono milioni di tedeschi che non conoscono le dimensioni di queste atrocità”.

Dopo la guerra Schindler ebbe una vita tormentata e cadde probabilmente in depressione. Vagheggiava ancora grandi progetti imprenditoriali e riuscì a farsi finanziare dalle agenzie ebraiche – riconoscenti per il suo operato – ma non aveva perso il gusto per la bella vita, per le donne e per il bere, e così sperperò molto denaro. Emigrò in Argentina con la moglie e mise in piedi più di un’impresa, tutte regolarmente fallite. Tornò in Europa, separandosi definitivamente (ma senza divorziare) da Emilie, senza ottenere mai né la tranquillità economica, né la fama internazionale, che riuscì solo a intravedere quando a Hollywood – negli anni ‘60 - prese forma il progetto di un film sulla sua vita, poi naufragato. Schindler ebbe sempre, anche nei momenti più bui, un sostegno fondamentale e incondizionato dagli ebrei che aveva salvato (gli “Schindlerjuden”). Fu grazie a loro che Israele – nonostante alcune voci critiche per certe ombre rimaste sul suo operato – lo riconobbe come “Giusto fra le Nazioni”, e sempre a loro si deve la celebrità internazionale, sia pure postuma, arrivata prima col romanzo di Thomas Keneally, lo scrittore australiano che si imbatté nella sua storia incontrando a Los Angeles uno degli “Schindlerjuden”, poi con il film di Spielberg tratto dal romanzo. La vita di Schindler, pur così straordinaria, è anche una storia universale: può essere letta come la riprova che bene e male possono facilmente convivere nella stessa persona, e così il conformismo e il coraggio, la superficialità e il senso di giustizia. Dal 1974 lo spericolato figlio dei Sudeti riposa nel cimitero cattolico di Gerusalemme, unico tedesco iscritto al partito nazista sepolto in quel luogo sacro.