Venerdì 20 Dicembre 2024
CHIARA DI CLEMENTE
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La svolta di Venezia : "Il nostro corpo libero": il diritto del femminismo di essere oscuro e hard

Donna matura e potente sceglie per passione di farsi umiliare dal giovane amante. Con la vittoria di Nicole Kidman in “Babygirl“ un’altra rivoluzione dei ruoli.

Nicole Kidman, 57 anni, in Babygirl: la diva ha vinto la Coppa Volpi

Nicole Kidman, 57 anni, in Babygirl: la diva ha vinto la Coppa Volpi

"È una performance molto coraggiosa. Ma non è solo quello che l’attrice fa nel film, è proprio il concetto del film ad avermi convinta – dice la presidente di giuria di Venezia 81 Isabelle Huppert –. Si parla sempre o di donne forti o di donne deboli: mi piaceva che in questo film la protagonista fosse entrambe le cose. Mi piaceva che il film non fosse manicheo; mi piaceva che il suo personaggio non fosse manicheo. Ciò che Nicole Kidman riesce a fare è straordinario. Mostra emozione, intelligenza, tutto quello che fa è davvero notevole". Quello che fa, in Babygirl, è recitare il ruolo di una donna matura – nel suo splendore Nicole Kidman ha 57 anni –, donna di potere, Ceo di un’azienda, con un rapporto sessualmente deludente con il marito e una passione che esplode per uno stagista ventenne sicuro di sé ai limiti dell’insolenza. Lo vediamo umiliare Kidman, e vediamo Kidman che si lascia umiliare – con piacere – da lui, dai suoi ordini: il sesso lo facciamo quando decido io, le dice, e poi "bevi il latte nella ciotola come un gatto" e "dimmi: farò tutto quello che vuoi".

Nel film Kidman interpreta molte scene erotiche, e la presenza alla Mostra di pellicole con momenti e temi sessualmente espliciti (dalla serie Disclaimer di Cuarón allo stesso Queer di Guadagnino) ha fatto sì che il direttore Barbera ne parlasse fin dall’inizio come di uno dei “segni“ della Mostra: "Negli ultimi 20 anni sembrava che la rappresentazione dell’erotismo e del sesso sullo schermo fosse quasi scomparsa, in una forma di assurda autocensura. Non mi piace che l’erotismo sia stato confinato all’industria del porno che come sappiamo è diventata un consumo di massa – aveva anticipato Barbera –. È positivo che i registi cerchino di parlare di nuovo di relazioni intime e sessuali in modo profondo e artistico". E il fatto che Babygirl sia valso alla Kidman la vittoria della Coppa Volpi, non può che dar ragione al direttore.

Se è comunque necessario ricordare che anche il Leone d’oro dello scorso anno, Povere creature! di Lanthimos, era un’opera sull’emancipazione di una donna, pellicola per nulla avara di reiterate scene di sesso esplicito – caratteristica che non ha certo fatto ombra alla meritatissima vittoria dell’Oscar della protagonista Emma Stone – il passo in più che fa Babygirl rispetto al fenomeno "Venezia 81 ritorno del cinema erotico d’autore" sta nel suo assunto dichiaratamente femminista. Alla regia c’è una donna, l’olandese 48enne Halina Reijn – peraltro già collaboratrice di Verhoeven in Basic Instinct –, e quello che lei ha sottolineato circa il suo film è stata proprio l’urgenza di raccontare questa storia – che pure mostra sul grande schermo una donna che prova piacere nell’essere umiliata dall’amante – attraverso un “female gaze“ (uno sguardo femminile) completamente contrapposto al classico “male gaze“. "Tutti noi abbiamo una piccola scatola nera piena di fantasie e tabù che vorremmo non condividere mai con nessuno – ha detto a Venezia la regista –. Con questo film ho cercato di far luce, senza dare giudizi, sulle forze opposte che compongono le nostre personalità. Per me, il femminismo è anche la libertà di esplorare la vulnerabilità, l’amore, la vergogna, la rabbia e la bestia interiore di una donna. La relazione al centro di Babygirl permette ai protagonisti di esplorare tutte le modalità riguardo al potere, al genere, all’età, alla gerarchia e all’istinto primordiale".

Negli anni Ottanta le attiviste Usa del movimento pro-sesso Pat Califa e l’antropologa Gayle Rubin del famoso saggio Thinking Sex furono tra le prime a difendere la “creatività“ e la sperimentazione erotica ai fini del piacere fisico, comprese le pratiche BDSM, nel nome della libertà delle donne di esprimere la sessualità secondo i propri desideri; alcuni dubbi, ai tempi, riguardavano la necessità della consensualità, ma il concetto della necessità della consensualità – dagli anni ’80 a oggi, grazie pure alla rivoluzione del #MeToo – è ormai un patrimonio culturale che si sta insediando sempre più, quasi geneticamente, nelle nuove generazioni. Secondo Reijn, Kidman e Huppert – stando al verdetto della Mostra – è importante trasmettere il messaggio che l’affermazione del femminismo passi anche attraverso la più libera, persino oscura e "hard", rappresentazione del desiderio. "Non possiamo lasciare che il desiderio di una diventi il paradigma di tutte, ma possiamo far sì che i desideri di tutte diventino la nostra lotta condivisa – ha scritto recentemente Jennifer Guerra nel suo Il corpo elettrico –. Ripartiamo dal desiderio personale e trasformiamolo in desiderio politico". Almeno al cinema.