Roma, 12 gennaio 2025 – Si chiama fiction, e un motivo ci sarà. Dove nell’enunciazione del genere risiede contemporaneamente la forza e i limiti, con un termine neutro potremmo dire la caratteristica, di una operazione culturale importante, attesa da tempo, sicuramente destinata a far discutere e a catturare l’attenzione del pubblico, non solo italiano.
Perché M - Il figlio del secolo andata in onda in prima visione da venerdì scorso su Sky, è prima di tutto un’opera di fiction. Fiction storica, certamente, ma sempre fiction. Un’opera in sostanza che si ripromette di ottenere grandi ascolti attraverso l’uso di una sceneggiatura brillante, di una prova attoriale magistrale di Luca Marinelli, di una regia efficace, di una produzione che non ha lesinato nei mezzi, ma che, nello stesso tempo, accetta di seguire un proprio percorso narrativo senza dover per forza di cose fare i conti coi fatti realmente accaduti. E al termine della quale risulta inutile e forse anche sbagliato perdersi nel gioco della verosimiglianza storica. Altrimenti assisteremmo a una puntata di Passato e presente, con diversi risultati in termini di audience.
M - Il figlio del secolo era attesa in particolare dopo il successo dei libri di Antonio Scurati (specialmente il primo, bellissimo, dal quale è tratta la serie tv andata in onda adesso su Sky, che narra i fatti dal 19 marzo 1919 al 3 gennaio 1925) e la suspense antifascista sapientemente suscitata dallo stesso scrittore (meritatissimo premio Strega 2019), e come non pensare ai ricorrenti allarmi antidemocratici risuonati in concomitanza con l’uscita dei libri, primo tra tutti il famoso monologo più visto della storia mondiale della censura. Un’attesa che aveva anche invaso inevitabilmente il dibattito politico, e durante la conferenza stampa fiume di alcuni giorni fa una domanda sulla serie M era stata posta anche alla premier, la quale aveva però dribblato ogni tipo di inciampo ("non la vedrò perché non ho tempo per guardare nessuna serie tv").
La serie tv disponibile su Sky (in tutto otto ore e passa di programmazione, divise in otto puntate) risente innegabilmente del clima politico in cui si è svolto il dibattito sul fascismo (favorito dai ricorrenti anniversari da cinque anni a questa parte – fra tutti piazza San Sepolcro, Marcia su Roma, Matteotti – oltre che dall’ascesa al potere della destra italiana) e come spesso accaduto in passato la storia è stata usata da una parte e dall’altra per fare battaglia politica. Senza dimenticarsi della potenza commerciale – definiamola così, asetticamente – del marchio Mussolini, in grado ancora (piaccia o no) di far stra-vendere sia chi ne scrive bene sia chi ne parla male.
La serie tv con protagonista Marinelli, dicevamo, risente di questo clima, e ne risente più del libro. Mentre infatti la lettura accattivante di M offriva se pure in forma romanzata (era quella la sua forza) gli strumenti per comprendere con compiutezza il complesso degli avvenimenti del primo dopoguerra che portarono alla nascita della dittatura, la serie tv appare costruita più a tema, e sembra meno "aperta" nella trattazione di un periodo storico altamente complesso. Sarà la formula artistica che obbliga gli autori a scelte di campo più drastiche, sarà il dibattito politico divampato dal 2019 in poi (M era del 2018), sarà stato l’emergere sempre più evidente di una fascia di pubblico molto attratta da tematiche e toni antimussoliniani. M piacerà quindi a coloro che sono convinti che il fascismo sia stato una parentesi buia della nostra storia recente nata chissà come e chissà perché, se non per il fanatismo cieco e violento di una masnada di delinquenti reduci della guerra guidati da un capobanda più delinquente di loro, e soddisferà meno chi desidera capire i motivi per i quali il fascismo è salito al potere (ricordiamo che Mussolini ottenne nel novembre 1922 la fiducia parlamentare da ben tre futuri presidenti della Repubblica, oltre a quella di altri padri della patria, e fra tutti citiamo Alcide De Gasperi e Benedetto Croce) e per molti anni, almeno una decina, ha poi goduto di consenso trasversale in gran parte della società italiana.
Ecco, nella serie M, interessante, ben girata, volutamente cupa come fu quel periodo e i suoi protagonisti, con un Marinelli straordinario, manca un punto di equilibrio tra questi due estremi. Un peccato grave? Un imperdonabile errore? Diciamo un rischio, un rischio calcolato, quello che si corre se si pretende di imparare la Storia da una serie tv.