di Lorenzo Guadagnucci
Educare controvento, seminare inquietudine, pensare insieme: sembrano slogan, ma sono pratiche. Franco Lorenzoni è un maestro speciale: da oltre quarant’anni – ne ha 70 – vive, insegna e impara nella Casa laboratorio di Cenci, nei pressi di Amelia (Terni): un pezzo di storia dell’educazione italiana. Ha scritto tre libri, tutti Sellerio, sul suo modo di fare scuola; l’ultimo si intitola, appunto, Educare controvento. Ne parla oggi alle 18 al Festival della mente di Sarzana (La Spezia).
Lorenzoni, educare controvento perché?
"Credo che educare sia sempre, in un certo senso, andare controvento, perché bisogna offrire a ciascuno la possibilità e la libertà di scegliere la sua strada. E non è detto che la strada scelta sia quella del vento prevalente".
E perché “seminare inquietudine“ in un mondo già così ansiogeno?
"È vero, c’è un paradosso. Da una parte seminare inquietudine per me vuol dire coltivare il desiderio di porsi sempre nuove domande, senza affrettarsi a dare risposte che ci tranquillizzino. Dall’altra parte oggi siamo di fronte a sfide tremende; ragazze e ragazzi oggi sono molto consapevoli che c’è una guerra vicina, che la questione climatica è giunta a un punto insostenibile, e quindi tocca a noi adulti trasmettere, non dico sicurezza, ma almeno fiducia sul fatto di potercela fare. Il pensiero critico nasce dal fatto di accorgersi della realtà che abbiamo intorno e poi contare sulle proprie forze. Il cuore dell’apprendimento è nella relazione, nella scoperta che pensare insieme è meglio che pensare da soli. Cioè pensare confrontandosi con gli altri, dando voce a tutti".
La scuola oggi ci riesce?
"È molto difficile dare un giudizio complessivo. Certamente la scuola in Italia è in affanno, perché da decenni si parla male della cultura e c’è stata una frattura rispetto al desiderio di conoscere che informava il primo dopoguerra, quando si è ricostruito il paese. Oggi c’è grande sfiducia e soprattutto c’è una falsa narrazione che dice che studiare non serve a niente, e questo fa molto male ai ragazzi".
Qual è il punto di forza dell’esperienza della sua scuola laboratorio?
"Il dialogo. Il dialogo come forma di conoscenza. E poi la capacità di ascoltare, sia di noi insegnanti, sia dei ragazzi fra loro. La nostra repubblica si fonda su un testo collettivo, la Costituzione, e sarebbe bello che nella scuola si praticasse questa tecnica molto raffinata e complessa dello scrivere insieme migliorando il linguaggio. È un grande esercizio".
Oggi c’è molta enfasi sul merito. Che ne pensa?
"Penso che sia una sciocchezza, nel senso che per me tutti meritano. Il merito, così come viene proposto, sottintende invece lo scopo di valorizzare i migliori, facendo una classifica, e questo non aiuta nel costruire passione per la conoscenza. La cooperazione, invece, è fondamentale; il lavorare insieme".
Perché dice che la scuola dev’essere un po’ meglio della società?
"Perché la nostra società è profondamente ingiusta in tantissime sue parti: discrimina, esclude. Gli spazi urbani stessi – se ne parla tanto in questi giorni nelle cronache – sono a volte dei luoghi dove vige la legge del più forte. Ecco, la scuola, parto proprio da questi luoghi, è un presidio di democrazia fondamentale; la scuola dovrebbe essere il luogo più bello, più inclusivo, più capace di affrontare la peggiore delle cose: la discriminazione".