Giovedì 12 Dicembre 2024
BEATRICE BERTUCCIOLI
Magazine

Sorrentino: "La mia Parthenope, travolgente ma sola"

Il regista racconta il mito, una donna, lo scorrere del tempo e la sua Napoli: "Una città che ti conquista, ti invade e ti mette di fronte a te stesso"

"La mia Parthenope,  travolgente ma sola"

Celeste Dalla Porta, 26 anni, protagonista di Parthenope, al cinema da giovedì

Roma, 22 ottobre 2024 – Parthenope nasce nelle acque del golfo, sirena, figura mitologica, fondatrice della città. Ma è anche una donna, seducente, libera, che, nata nel 1950, vediamo attraversare le varie fasi della vita fino ai suoi 73 anni. Con lei, Paolo Sorrentino, 54 anni, osserva l’inesorabile scorrere del tempo e conduce alla scoperta dei tanti volti della sua città, dalle lussuose ville di Posillipo ai vicoli popolari, ammaliante e sordida. Presentato in concorso allo scorso festival di Cannes, Parthenope, scritto e diretto dal regista premio Oscar, sarà nelle sale dal 24 ottobre. Un film potente, che commuove e disturba, con Celeste Dalla Porta nel ruolo di Parthenope giovane e una meravigliosa Stefania Sandrelli nella maturità, e ancora con Luisa Ranieri, Silvio Orlando, Gary Oldman, Isabella Ferrari, Peppe Lanzetta.

Sorrentino, vedendo il film si direbbe che lei ami Napoli ma la detesti anche un po’.

"No, non la detesto. La città, i suoi abitanti, tutto ha una dimensione molto invadente. Se paragoniamo la città a una persona invadente, questa sa essere molto simpatica, gigionesca, sa farti ridere, sa affascinarti, però sa anche stancarti, e Napoli è un po’ così. È una città che ti conquista, però, proprio perché ha una dimensione così invasiva, rischia anche di farti sentire solo. Intanto è una città di mare e ovunque tu vada, finisci sempre davanti al mare, e ci finisci da solo. È una città molto caotica ma nel momento in cui ti avvicini al mare diventa estremamente silenziosa, e ti mette di fronte a te stesso".

Alla fine Stefania Sandrelli-Parthenope dice: "È stato meraviglioso essere ragazzi ma è durato poco".

"Penso che sia un’affermazione che condividiamo tutti, perché la giovinezza dura poco, meno della vecchiaia e dell’età adulta. E hai anche la percezione che sia durata poco perché è un periodo convulso, in cui si scopre tanto, in cui si affronta il mondo con una baldanza che poi si va affievolendo".

E ora che tipo di storie vorrebbe raccontare? In passato ha fatto anche film politici come Il divo su Giulio Andreotti e Loro su Silvio Berlusconi.

"Quando ho fatto i film politici ero abbastanza giovane da affrontare tutte le pressioni che ne derivano, ma quella voglia e quella forza non le ho più. E poi ero affascinato dal carisma che emanavano certe figure politiche, carisma che vedo poco nella politica di oggi. Questo film, Parthenope, è stato molto grande, anche in termini di ambizione, di messa in scena, e forse adesso, per reazione, sarei pronto per raccontare storie più intime".

Esattamente dieci anni fa, con La grande bellezza, ha vinto l’Oscar. Cosa ha significato quella vittoria?

"Moltissimo, c’è un prima e un dopo. È più di un premio. Diventa un sostantivo: “Il premio Oscar Paolo Sorrentino“, come se mi chiamassi anche Oscar oltre che Paolo. Cambia il tuo status professionale e, dato che è molto gratificante, l’entusiasmo con cui affronti un progetto. Quando ho cominciato, ero affamato, poi l’Oscar ti dice che sei arrivato. Ti può frenare. A me non è successo perché quando ho vinto l’Oscar stavo già preparando Youth".

Di tutte le fasi della realizzazione di un film, dalla scrittura al lavoro sul set con gli attori, quale ama di più?

"Essendo per indole uno che ama stare solo, la scrittura è sicuramente la fase che mi diverte di più. È anche la fase in cui ti senti più libero, dove hai l’illusione che tutto possa accadere perché ogni cosa si gioca tra la tua mente, la tastiera di un computer e una musica che esce da una cassa".

Quel ragazzino rimasto orfano a 16 anni per un incidente accaduto ai genitori, come ha raccontato in È stata la mano di Dio, è riuscito lo stesso a spiccare il volo, a diventare un grande regista. Di cosa è più orgoglioso?

"Essere stato in grado di mettere insieme il mio lavoro, un po’ folle e imponderabile, con una cosa che desideravo molto, vale a dire fare una famiglia: avere reso compatibili queste due cose apparentemente lontane, questo mi rende piuttosto orgoglioso".