Come tutti gli anni, come sempre, la famiglia si è riunita per il Natale. Ogni anno aumenta il numero dei parenti, una volta erano solo il padre, la madre e i quattro figli, e l’albero illuminato in salotto, sotto al quale l’angelo di Gesù Bambino depositava misteriosamente i doni. I bambini recitavano le poesie e poi la mamma consegnava quei pacchi avvolti nella carta rossa, o argentata, e le mani dei piccoli tremavano un poco togliendo il filo d’oro che li stringeva. Ma poi, la vita è così, i bambini sono cresciuti, sono diventati uomini e donne, si sono sposati e hanno fatto tanti figli, e anche quei figli si sono trasformati impercettibilmente in uomini e donne, hanno compagni e compagne, e suoceri, cugini, nuovi parenti acquistiti di cui spesso è difficile anche ricordare il nome. Ora è una bolgia, i regali passano di mano in mano frettolosamente, la carta rossa o d’argento viene strappata, e tutti dicono grazie, è un pensiero bellissimo, sorridono e strappano il prossimo regalo. Un tempo, dopo i regali, ci si sedeva a tavola, prima comodi poi forse un po’ stretti: e ora si mangia in piedi, perché non esiste una tavola così grande da accogliere tutta quella gente. Ci si spinge un po’ davanti al buffet, si ammucchiano nel piatto l’insalata russa, i gamberi, i carciofi, una cucchiaiata di purè. Qualcosa cade a terra e viene calpestato sbadatamente, mentre i bambini nuovi corrono per le sale e i corridoi gridando e sparando con le nuove pistole spaziali. I discorsi si intrecciano e si sciolgono, parole rapide di politica, di viaggi fatti o da fare, di studi da finire, di affari che forse vanno in porto e forse no, e in fondo, con il bicchiere in mano e le patatine che scricchiolano sotto le suole, nessuno ascolta davvero. Tanto poco prima di mezzanotte la festa sarà finita, qualcuno andrà alla messa nella chiesa lì vicino, altri torneranno a casa dicendo in macchina che Rossella aveva un brutto vestito e che Giovanni è invecchiato tutto d’un colpo, come mai? Ma ora stanno tutti nel salone, con le finestre aperte perché c’è fumo di sigarette e perché anche a dicembre fa sempre più caldo, il gelo di una volta è solo un ricordo lontano.
E a un certo punto, in un momento strano in cui tutte le voci si sono ritirate come la marea sulle spiagge atlantiche, qualcuno dice: “Ma zio Luigi quest’anno non è venuto?”, e la sua voce suona forte, e un bicchiere cade dalle mani di una cognata o di un fratellastro, spacca il silenzio attorno a quella domanda inattesa. Già, dov’è zio Luigi, si chiedono in molti, e nessuno ha una risposta. “Ma zio Luigi, di preciso, com’è parente nostro?” dice un ragazzo di sedici anni, già alto e robusto. E nel salone si pianta un albero genealogico abbastanza impreciso, e ora monco di un ramo, di un ramoscello da niente. La sera di Natale c’è sempre stato, zio Luigi: minuto, gentile, con quei pochi capelli biondi sulla testa da uccellino, quasi senza parole, o almeno adesso nessuno ricorda di averlo mai sentito parlare, e però sempre con quel sorriso chiaro, mite, luminoso sulle labbra sottili. “Zio Luigi dovrebbe essere il cugino del terzo o quarto figlio della bisnonna, se ricordo bene, ma ricordo male”, dice uno degli anziani della festa. “No, è il fratello della povera moglie di Alberto”, corregge un altro, ma poco convinto. E nella sala, sotto quel fantastico albero genealogico, si intrecciano le ipotesi, forse zio Luigi è questo o quello, o quell’altro, ma nessuno saprebbe dire di preciso chi sia nella grande famiglia. Di sicuro c’è sempre stato, sempre, fin da quando il Natale era una cosa intima tra genitori e figli, seduto da una parte, con la sua giacca di velluto scuro e liscio, con le mani leggere posate sulle ginocchia, senza parole, ma con quel sorriso buono che sembrava una candela sempre accesa. “Ma che lavora fa, o faceva, lo zio Luigi?”, incalza Giovanna, moglie di Piero, figlio di Antonio.
Già, che lavoro faceva, forse era un bancario, o un professore di matematica, o un sarto, nessuno saprebbe collocarlo in un posto preciso, perché nessuno ha mai scambiato due frasi con lui. E però non è mai mancato e portava sempre piccoli doni, cravatte, pantofole, libri di poesia che venivano incamerati senza troppi ringraziamenti, solo con sorrisi d’occasione verso il suo sorriso discreto e sereno. Ma stavolta non c’è, e tutto d’improvviso sembra più triste, più insensato, chissà perché. “Ma forse vi sbagliate”, dice un bambino con una macchina a pile che gli vibra tra le mani, “forse zio Luigi non esiste”, e la sua risata fa male, è come una scossa cattiva che traversa il salone e le schiene di tutti i parenti. Senza zio Luigi, il Natale vacilla, l’albero si piega e ognuno si sente di colpo più solo, anche se non sa perché.
E poi, come per miracolo, la porta in fondo al salone si apre lentamente, quasi spinta da un vento invisibile: e zio Luigi appare, minimo e lieve, con il suo sorriso eterno poggiato sul volto da vecchio e da bambino. Allarga piano le braccia, come per dire sono qui, scusatemi, ero di là, ero al bagno, altrove, forse in un altro Natale, ma ora sono di nuovo qui tra voi, e tutti riprendono a bere, a parlare, tutti in un attimo lo dimenticano, ma per una sera sono quasi felici.