Roma, 28 gennaio 2025 - La musica per lui è "una cosa che si balla". Lui è Jovanotti e la musica quella del nuovo album Il corpo umano - Vol. 1, in uscita venerdì con 15 nuove canzoni (accompagnate da video girati a Roma nella Galleria Borghese) per circoscrivere le passioni annidate dietro le tibie, le chiavi inglesi, il cuore spezzato di quella copertina formato “allegro chirurgo“ con cui il ragazzo fortunato prova a esorcizzare l’annus horribilis seguito all’incidente stradale dell’estate 2023 con l’ausilio, in cabina di regia, di due vecchie conoscenze come Michele Canova e Dardust e la new entry Federico Nardelli. Tutto nell’attesa delle 50 date o giù di lì del PalaJova 2025! al via il 4-5 e 7-8 marzo dalla Vitifrigo Arena di Pesaro ("macchine sceniche fighissime; sono ricorso addirittura all’aiuto di quelli del Tomorrowland, il più famoso festival europeo della dance"). Prima, però, Sanremo dove presenterà la sera d’apertura, l’11 febbraio, un quarto d’ora di set da far saltare il pubblico sulle sedie. "Un circo molto figo" lo definisce lui, tornato in radio a dicembre col singolo Montecristo.
Proviamo a inquadrare questo album attraverso i sentimenti che Alexandre Dumas diceva di portare nel cuore: la tristezza, l’amore e la riconoscenza.
"Anche se ho più dimestichezza con lo struggimento o la malinconia che con la tristezza vera e propria, quel sentimento un po’ così me lo danno il tempo che passa, i limiti del mio essere, il ricordo delle persone che non ci sono più, ma anche il corpo che si rompe mettendoti davanti all’ineluttabilità delle cose che finiscono. Il valore delle cose lo scopri quando ti mancano, o sono rotte, da qui la scelta di scoprire il mio corpo: il titolo dell’album nasce da questo desiderio. Mi sono rimesso in piedi col desiderio di ballare il sirtaki e per questo l’ho messo nell’ultima canzone del disco. Il corpo si cura attraverso lo spirito e lo spirito si cura attraverso il corpo, diceva Oscar Wilde. Nessuno può immaginare quanto io sia contento di essere vivo. E dentro allo stampino della persona triste no, non riesco proprio a starci".
Oddio non sarò mai più quello di prima: dunque l’ha pensato?
"Molte volte. Ed è stata mia moglie Francesca a fare da parafulmine a quei momenti di sconforto lì. Farsi male è un attimo, recuperare no. Ma se ora mi chiedi come sto, dico meglio di ieri e peggio di domani"
Tornando a Dumas: l’amore?
"Il disco è pieno di canzoni d’amore, perché alla base di tutto c’è stato quello. A un certo punto non mi veniva fuori altro. In ospedale trovarmi davanti Francesca ogni volta che riaprivo gli occhi lo prendevo come un dono del cielo. In certi momenti ero perfino contento di dover essere accudito, imboccato, in una parola: amato. E poi c’erano i messaggi sul telefonino, sui social, a darmi il senso di attesa palpabile che definiva un obiettivo da raggiungere. È stato così pure col PalaJova. Quando, poco dopo l’operazione, il mio agente m’ha detto “diamoci una data, prenotiamo i palasport“, il giorno dopo stavo già meglio. Un vero e proprio effetto placebo".
La riconoscenza?
"È un sentimento che conosco fin da bambino, quando, dopo ogni gentilezza, mamma mi strattonava dicendo: dì grazie alla signora. Questo mi ha fatto crescere dentro la coscienza che nella vita non si viaggia da soli. Ma solo in compagnia".
I tempi sono cambiati da un singolo sociale come Il mio nome è mai più, ma in Fuorionda lei canta ancora di "Russia e Ucraina, Israele e Palestina". Qual è oggi l’occhio sul mondo delle sue canzoni?
"Il ruolo della canzone è sicuramente cambiato perché oggi per comunicare ci sono strumenti più immediati e più facili quali i social. Anche se la canzone rimane un contenitore poetico di emozioni praticamente unico".
Dunque: qual è il ruolo della musica popolare?
"La canzone può incidere sulle coscienze, ma può anche far ballare, innamorare, smaniare di ascoltarla sull’autoradio a tutto volume. La polemica scatenata dal raffronto che ho fatto equiparando La locomotiva a Gloria, mi ha lasciato la convinzione che ho ragione io. Ci sono le cose fatte bene e quelle fatte male. Sono cresciuto in un mondo in cui la musica diveniva uno status, in cui finivi per sentirti figlio di un dio minore ad ascoltare certe cose piuttosto che altre. E questa è una cazzata, perché nella canzone d’autore ci sono cose sublimi e mediocri esattamente come nel pop. Bigazzi o Mogol hanno scritto cose memorabili. Guccini dice che la canzone è un genere letterario, io penso invece che sia anche un genere letterario. La caratteristica del pop è quella di essere eccitante. Figli delle stelle è un capolavoro".