Washington, 1 agosto 2019 - L’ultima serata John Dillinger la passò al cinema. Davano Manhattan Melodrama con Clark Gable, Myrna Loy e William Powell. Ovviamente lui non immaginava che quella fosse la sua ultima serata. E tanto meno che di lì a due giorni il suo corpo sarebbe stato interrato a Crown Hill nello Stato dell’Indiana dove era nato 31 anni prima e da dove sarà riesumato entro la metà di settembre.
L’ha chiesto il nipote Michael C. Thompson, che non ha mai creduto alla versione dell’Fbi e cioè che uno dei più noti gangsters degli anni Trenta sia stato ucciso quella notte a Chicago. Era il 22 luglio 1934. Anzi - ha detto in un’intervista - nessuno può dire se in quella tomba ci siano resti umani, se siano di John o di un altro. L’unica cosa certa è il nome sulla lapide John H. Dillinger jr, 1903 – 1934. Nome tedesco perché il nonno era emigrato dalla Germania e dunque la pronuncia dovrebbe essere con la g dura e non dolce, come in inglese. Ma "lì sotto lui non c’è", sostiene da ben 6 anni Susan Sutton. È l’autrice di un libro dedicato in realtà non al bandito ma al cimitero Crown Hill: History, Spirit, Sanctuary.
Tre concetti: la storia, lo spirito, il santuario. Partiamo dalla storia. John Dillinger è stato un personaggio storico: un genio del male, criminale a tutto tondo, pluriomicida e plurirapinatore nell’immenso Midwest, tre volte evaso di prigione. Era l’incubo di Edgar Hoover che proprio per catturarlo cambiò il nome e la struttura della polizia federale. Volle che il suo Boi, Bureau of Investigation, venisse ribattezzato Fbi, Federal Bureau of Investigation. E volle che le sue competenze nella lotta alla malavita organizzata diventassero esclusive, spesso a dispetto e in concorrenza con la polizia dei 50 Stati.
In effetti se non fosse stato per gli agenti venuti da Washington, forse John Dillinger sarebbe arrivato alla pensione. E forse anche Bonnie and Clyde avrebbero continuato a scorrazzare e a rapinare banche. Nel marzo del 1934 John si era fatto la plastica facciale, nuovo naso, bocca piegata da una parte, occhi ritoccati. Cinquemila dollari, una bella somma. Anestesia totale.
Ma il dottr Harold Cassidy aveva esagerato. Il paziente gli stava morendo sotto i ferri. Invece sopravvisse. Assunse un altro nome, Jimmy Lawrence. Trovò lavoro come commesso. Aveva però una debolezza: le donne. La moglie, Evelyn Frechette, detta Bonnie, era stata arrestata alcuni mesi prima. Se ci dici dov’è tuo marito, tornerai libera. Lei non parlò. E lui trovò nuovi conforti in un bordello.
Fu una prostitura a tradirlo: Ana Ivanova Akalieva, in arte Ana Cumpanas. Telefonò all’Fbi: andremo al cinema, mi riconoscerete dal vestito rosso, in cambio voglio la promessa che non sarò deportata. Era un’immigrata clandestina.
L’FBI tese la trappola: John venne colpito da quattro proiettili. Secondo concetto: lo spirito dei tempi. C’era la Grande Depressione. Le banche avevano espropriato milioni di case per i mutui inevasi. Quando Dillenger le assaliva, aveva cura di bruciare i registri contabili con debiti e ipoteche. Infine il terzo concetto: il santuario. Il gangster divenne un Robin Hood agli occhi dei diseredati: al funerale c’erano 15mila persone. Il padre volle ricoprire la bara con quattro lastre di cemento e sbarre di ferro.
Perché? Chissà che dopo la riesumazione non si debbano cambiare la narrativa e le dozzine di film. Humphrey Bogart è stato John Dillinger e anche Lawrence Tierny, Mickey Rooney, Warren Oates, Mark Harmon, Martin Sheen, Johnny Deep, Alexander Ellis. Fino al capolavoro di Marco Ferreri, interpretato da un grande Michel Piccoli.