Los Angeles, 8 novembre 2019 - Ciak, si risorge. James Dean reciterà in un film. No, non hanno ritrovato una pellicola perduta in qualche magazzino, né i suoi home movie, o un film girato con i compagni dell’ Actor’s Studio, riemerso dagli scatoloni della scuola. No.
James Dean, morto nel 1955 a ventiquattro anni, schiantato a centotrenta all’ora con la sua Porsche appena comprata, divenuto icona assoluta dei volti belli e dannati, entrato per sempre nel mito anche per quella morte tragica e prematura, torna in scena. Torna sul set. Gioca i tempi supplementari della leggenda. Sarà fra i protagonisti di un film, Finding Jack, ambientato negli anni della guerra in Vietnam.
Com’è possibile tutto questo? Se po’ fa’, se po’ fa’. I due registi, Anton Ernst e Tatui Golykh, realizzeranno il miracolo. Hanno ottenuto dalla famiglia i diritti di utilizzare fotografie e filmati inediti di James Dean; e poi hanno scatenato due laboratori di effetti speciali, uno in Canada e l’altro in Sudafrica. Si occuperanno loro di resuscitare James Dean al computer.
Tecnologia, tecnologia, tecnologia. Proprio questa settimana possiamo vedere al cinema un Robert De Niro trentenne – e Al Pacino, con lui; e Joe Pesci, tutti ringiovaniti di decenni – in The Irishman di Martin Scorsese: schiere di computer all’opera per togliere decine di anni non da una singola fotografia, ma da un’intera performance di attore. E il quasi miracolo è riuscito. Adesso, si passa alla resurrezione. André Bazin, un grande teorico francese, aveva intuito già negli anni ’50 che il cinema ci regala una specie di antidoto alla morte, consegnandoci corpi eternamente vivi, congelando il Tempo in una specie di goccia di ambra. Sì, d’accordo, ma fino ad ora ci permetteva solo di vedere e rivedere Humprey Bogart o Ingrid Bergman in "quei" film, eternamente uguali a se stessi. Adesso, si attrezza per le resurrezioni.
Non è neanche in assoluto la prima volta che viene tentato qualcosa del genere. Nell’ultimo Star Wars, Peter Cushing è stato riportato in vita, rielaborando immagini che aveva girato prima di morire, mentre in Gemini Man Will Smith ha a che fare con un se stesso "più giovane", ricreato al computer. Ma stavolta Hollywood sembra fare molto più sul serio. Per la prima volta, un attore morto ‘interpreterà’ tutto un film. Cosa che sembra aprire la strada a una galleria infinita di attori da riportare in vita. Una galleria di zombie giovani e belli. Vogliamo rivedere Marilyn in un film, magari con un nudo che all’epoca non si sarebbe concessa? Vogliamo un nuovo impeccabile Cary Grant, disinvolto ed elegante, un po’ blasé? Vogliamo di nuovo il sorriso di Audrey Hepburn che sembra illuminare il mondo? Ragazzi dei computer, al lavoro. E la cosa si potrebbe estendere ad attori vivi, che magari non hanno voglia di interpretare quel film: se Hollywood detiene i diritti della loro immagine, perché non usarli lo stesso? Perché non far recitare Angelina Jolie o Keanu Reeves anche se fisicamente non ci sono, sul set?
La cosa non è piaciuta a tutti. "È una trovata pubblicitaria, un terribile precedente per il futuro dello spettacolo" ha detto Zelda Williams, la figlia di Robin Williams, che dopo il suicidio del padre si batte per proteggerne la legacy da sfruttamenti commerciali. Polemico anche Chris Evans, protagonista di Knives Out: "Forse troveremo un computer capace di dipingerci un nuovo Picasso o scrivere un paio di melodie di John Lennon". Il sito Esquire ha già pubblicato una lista di 35 attori vivi disponibili per i film – sottintendendo: ma c’era bisogno di scomodare James Dean? Il quale, peraltro, morì 10 anni prima che fossero inviate le prime truppe in Vietnam, quindi c’entra poco anche con la collocazione temporale della vicenda del film. Ma ormai, l’impressione è che la rivoluzione sia iniziata. Buon futuro a tutti.