Un reportage mascherato? Un racconto sospeso tra storia e sentimento? Una bella occasione per ripassare la storia? Tutte e tre le cose. Riassumibili nel concetto, alto e antico, di commedia umana. L’ultima prova di Giovanni Morandi (l’autore non ha bisogno di presentazioni: è stato direttore del “Giorno”, del “Carlino” e del “Qn”) è qualcosa che colpisce, che fa male, che disvela angosciosi aspetti della Storia, quella davvero – anche se l’espressione può apparire retorica – con la S maiuscola. Già il titolo è impegnativo: “Non è facile coltivare pomodori in Siberia” (Mauro Pagliai editore, euro 10). Un titolo che si comprende solo alla fine, con un’immagine struggente che non vi riveleremo per non guastare la sorpresa.
È la storia di Vera che, dalla Siberia, arriva in Italia. Ma che tante ne deve passare prima di realizzare il suo sogno. Un sogno, diciamo così, che arriva all’improvviso (l’incontro con una vecchia amica delle scuole) e che si realizza, tra sguardi pietrificati di parenti amici e figlia, in pochi momenti. È il “prima” quello che conta. Dalla figura della nonna, polacca, “trasferita“ in Siberia, a quella (a parere di chi scrive la meglio riuscita) della mamma Marija, donna forte, coraggiosa, che sa muoversi con abilità nel sistema a comunismo reale, non rinunciando ai suoi convincimenti (specie religiosi e morali).
E poi, attenzione a un altro fattore fondamentale per capire queste pagine: il contesto. Vale a dire l’Est europeo, prima e dopo il crollo dell’Unione sovietica. Un crollo descritto da Morandi con rapide pennellate, ma soprattutto evidenziato dalle condizioni materiali impregnate di freddo. Un freddo che penetra nelle ossa del lettore, già colpite (si pensi solo al direttore della fabbrica dove lavora Vera, personaggio sommamente disgustoso) dall’ipocrisia di un regime che sventolava bandiere di libertà e di eguaglianza. Alla Grande Storia del “secolo breve” si affiancano le vicende di uomini e donne sfortunate, ma umane, molto umane. Che sanno commuoversi, che sanno gioire con poco, che corrono dietro la felicità.
Pagine commoventi, si veda solo la storia del gatto Kuska o pagine che descrivono l’abbrutimento dell’uomo tra alcol e pulsioni sessuali violente e perciò sporche. Eppure, se questa commedia umana colpisce forte, un filo sottile fa ben sperare lungo tutta la narrazione. I pomodori, da una parte. Il sole dell’Italia dall’altra. E la consapevolezza che nulla è eterno e che anche la dolcissima e un po’ sfortunata Vera potrà ammirare, chissà, il cielo blu di Roma.
Francesco Ghidetti