Non sarà Il trono di spade, ma la guerra continua in Vaticano, senza esclusione di colpi, strizza l’occhio alle lotte intestine fra le famiglie nobiliari del regno di Westeros. Intrighi, colpi bassi, scandali e tanto, troppo denaro. Anche quello sporco utilizzato per alimentare il potere e accrescere l’influenza dentro e fuori le mura leonine. Allude alla fortunata serie tv la giornalista Maria Antonietta Calabrò per il suo ultimo libro, Il Trono e l’altare, che racconta il Vaticano nel primo quarto del secolo in corso, segnato persino da attacchi frontali al Pontefice per condizionarne il regno. Di pagine nere se ne sono scritte per tutti i gusti: lo scandalo Vatileaks, scoppiato sotto Benedetto XVI, l’acquisto a dir poco controverso, da parte della Santa Sede, del Palazzo di Sloane Avenue, fino alle bordate dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo tradizionalista Carlo Maria Viganò – poi scomunicato –, che invocò le dimissioni di papa Bergoglio per il caso McCarrick e incolpò il Vaticano II e Joseph Ratzinger (non gli si perdonava la storica rinuncia al ministero petrino?) di essere all’origine dei mali della Chiesa. Proprio su Benedetto XVI l’autrice racconta un fatto inquietante, destinato a ridefinire il profilo del teologo. Nel 2012, poco meno di un anno prima del suo passo indietro, Ratzinger manifestò il timore di poter essere avvelenato. Addirittura il presidente dell’ufficio statale bavarese d’indagini criminali si sarebbe recato a Roma per esaminare le lacune della sicurezza nella preparazione del cibo del Pontefice. Qualcuno aveva saputo della possibile, imminente e sgradita rinuncia al papato? Tradito anche dal suo maggiordomo – come Benedetto XV, al quale s’ispirò per il nome –, una volta uscito di scena, Ratzinger nel 2017 scrisse lettere di fuoco al cardinale Walter Brandmuller, alfiere dell’ala destra del Sacro collegio, reo di averlo criticato, anche sul piano personale, per le dimissioni. Scontri e recriminazioni acquisirono un’altra dimensione poco più tardi, quando lo scandalo degli abusi in Germania riesplose nel 2018, gettando una nuova luce sul gran rifiuto di Ratzinger, chiamato in causa da quelle carte. Poco prima di morire Benedetto XVI ammise «la nostra colpa, grande, grande, grandissima colpa». Si sacrificò per la verità, ma i corvi non conquistarono l’Altare della confessione eretto sulla tomba di Pietro. Il papato era stato messo in salvo, in buone mani.
MagazineIntrighi vaticani, quando Ratzinger si sentì tradito