Roma, 16 giugno – Fa il suo ingresso con i capelli rossi raccolti in un ciuffo ritto in testa, il sorriso largo, lungo e sghembo, gli occhi tondi spalancati, sei valigie tra le mani. Svolazza inafferrabile per la sala controllo che poi è il cervello della tredicenne Riley, e si presenta: “posso prendere appunti, portarti un caffè, gestire la tua agenda, andare a passeggiare con il cane, vegliarti mentre dormi...”. È la nuova emozione protagonista del cartoon Disney-Pixar Inside Out 2, sequel del capolavoro 2015 appena uscito negli Usa e in Canada (e baciato da incassi record: 155 milioni di dollari nel fine settimana, sfiorati i 300 globali, il più grosso debutto del 2024), in arrivo nei cinema italiani mercoledì; un’emozione di nome Ansia.
Nell’originale inglese è Anxiety, unica parola, come la tedesca Angst, che racchiude in sé le due italiane ansia e angoscia, con quest’ultima ritenuta “più grave“, espressione patologica (nevrotica o psicotica) della prima. Anche se pure la sola ansia non scherza: “oggi la depressione non si presenta più, come ai tempi di Freud, quale conflitto tra norma e trasgressione quindi quale ‘nevrosi’ – scriveva Umberto Galimberti ne ‘I miti del nostro tempo’, 2013 – ma come un fallimento nella capacità di spingere a tutto gas il possibile fino al limite dell’impossibile... Quel che è saltato nella nostra attuale società è il concetto di limite. E in assenza di un limite, il vissuto soggettivo non può che essere di inadeguatezza, quando non di ansia”.
Depressione malattia dell’Occidente. E ansia malattia, in particolare, delle nuove generazioni: negli Usa se ne dibatte da tempo, prima con l’allarme lanciato nel 2023 e ribadito quest’anno dal “Surgeon general”, il responsabile della salute pubblica Vivek H. Murthy che ha denunciato il nesso tra la depressione e l’ansia dei teenager e il tempo da loro trascorso sui social media, e negli ultimi mesi in seguito alla pubblicazione, nel marzo scorso, del libro dello psicologo sociale Jonathan Haidt ‘The Anxious Generation’. Le teorie di Haidt hanno monopolizzato per settimane il dibattito sulla Generazione Z, ribattezzata dal professore della Stern School of Business della New York University (NYU) “Generazione ansiosa“: l’idea alla base del volume è che la rapida diffusione degli smartphone e la prevalenza di un modello di genitorialità iperprotettivo abbiano provocato una progressiva riduzione del tempo trascorso dai giovani offline. Questa condizione sarebbe la causa di una sorta di «ri-cablaggio» delle connessioni sinaptiche durante l’infanzia e l’adolescenza, e di un conseguente aumento delle malattie mentali: negli Stati Uniti i livelli di ansia e depressione, rimasti abbastanza stabili negli anni Duemila, secondo diversi studi citati da Haidt sono cresciuti di oltre il 50 per cento dal 2010 al 2019. La percentuale di suicidi è aumentata del 48 per cento nella fascia di età compresa tra 10 e 19 anni: tra le adolescenti dai 10 ai 14 anni, in particolare, del 131 per cento.
Non è certo un caso, allora, che la protagonista ora 13enne (Generazione Alpha) di Inside Out 2 si trovi ad essere in balia, all’improvviso, della nuova emozione di nome Ansia, che si palesa in compagnia di altre “new entry“ quali Noia (Ennui, con l’accento francese), Imbarazzo e Invidia, che si vanno ad affiancare alle “classiche“ Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura della Riley bambina. L’arrivo di Ansia è emblematico: per il regista di Inside Out 2 Kelsey Mann, il film diventa così “un’opportunità per aiutare gli spettatori di tutte le età a sentirsi meno soli. Gran parte della difficoltà nell’affrontare le nostre emozioni consiste nel dar loro un nome”, ha detto al "New York Times”. “E quando vengono riconosciute, la loro intensità – dunque anche l’intensità del dolore, del disagio, della frustrazione –, inizia a diminuire un po’”.
Per il cartoon Mann si è avvalso della consulenza della psicologa Lisa Damour e dell’esperto di scienza delle emozioni e prof di psicologia all’Università della California - Berkeley Dacher Keltner: “All’inizio Ansia era la classica ‘cattiva’ del film, ma non mi convinceva – ha rivelato Mann –, non la capivo. Così, con i consulenti, abbiamo deciso che Ansia era in realtà motivata dall’amore per Riley, proprio come lo era Gioia”. Pur mosso dal fantasma del perfezionismo, "il lavoro di Ansia, per come lo vede lei, è pianificare il futuro e proteggere Riley dalle cose spaventose che non può vedere”. “Nella nostra cultura – nota Damour – ci viene spesso detto che la salute mentale riguarda il ‘sentirsi bene’. Ma in realtà la salute mentale significa provare sentimenti che si adattano a ciò che sta accadendo e poi gestirli bene”. Per Keltner il film è dunque un invito – rivolto peraltro non solo ai più giovani – “a essere più accomodanti con noi stessi, ad accettare la nostra complessità. L’ansia di Riley non è patologica, è un’emozione che cerca di dirle qualcosa, e le emozioni hanno la saggezza dei secoli”. Perché non annientino, vanno ascoltate. Ansia compresa.