"Lo dico da sempre. Bisognerebbe istituire l’educazione sentimentale a scuola".
In che senso?
"Come materia scolastica. Così come c’è l’educazione fisica dovrebbe esserci l’educazione sentimentale. Solo così si potrebbero eliminare, forse, alcuni orrori di cui leggiamo nelle cronache".
Come potrebbe influire l’ "educazione sentimentale" sul comportamento dei giovani?
"Molto semplice: insegnando ai ragazzi, in particolar modo ai maschi, che fallire fa parte dell’essere umano. Il fatto che un ragazzo venga lasciato da una ragazza è doloroso, porta sofferenze, è traumatico. Ma bisogna accettarlo. Anche io sono stato lasciato, più di una volta. Ma non mi sarebbe mai venuto in mente di bruciare quella donna, o di prenderla a martellate sulla testa".
A riflettere su questi temi – su come si possa evitare che una società generi mostri, vendette, femminicidi – è Federico Moccia. Colui che, dall’inizio del 2000, nei suoi romanzi e nei suoi film ha raccontato l’amore a due generazioni di adolescenti. Il suo romanzo Tre metri sopra il cielo iniziò in sordina, fotocopiato clandestinamente fra i ragazzi dei licei romani: poi divenne, nel 2004, il caso editoriale dell’anno, finendo col vendere due milioni di copie in Italia e per essere tradotto in 16 paesi. Da lì, si sono alternati romanzi-film: Ho voglia di te, che diviene un film di immenso successo con Riccardo Scamarcio (2007), Scusa ma ti chiamo amore (con Raoul Bova, 2008). L’amore più romantico e l’adolescenza in quegli anni trovarono in lui un cantore e un punto di riferimento. Adesso, anche Moccia – 60 anni il 20 luglio – guarda sgomento agli episodi di cronaca su violenze tra adolescenti. Ne parliamo con lui all’Ischia Global Film&Music fest, dove Moccia è stato premiato e dove è stato presentato il suo nuovo film da regista, Mamma qui comando io, nelle sale italiane a settembre.
Moccia, ma può bastare la scuola per evitare certe tragedie?
"Prima di tutto è necessario che nelle famiglie ci si riesca a parlare. Che ci sia dialogo. Dialogo, ma anche definizione dei punti da non oltrepassare".
Colpisce il fatto che alcuni episodi di violenza coinvolgano figli di personaggi famosi. Che cosa ne pensa?
"Non credo che ci sia differenza fra “figli di papà“ e figli di nessuno, in questo. Penso che anche per questi uomini di potere, che si sono trovati con un figlio indagato o colpevole di comportamenti gravi, tutto questo sia fonte di immensa sofferenza".
Non c’è una abitudine al "tutto è permesso" che può nascere?
"Rispetto al fatto di essere “filgli di papà“, anche io lo sono: mio padre, Giuseppe Moccia in arte Pipolo, era uno degli sceneggiatori di maggior successo degli anni ‘70 . Ma mi ha educato al rispetto degli altri: e quando, nel mio piccolo, ho fatto qualche sbaglio, è stato giustamente severo con me. Certo, il fatto di crescere abituato ad avere un certo potere ti può abituare in un certo modo. Ma ci sono anche persone che non sono “figli di papà“ che sono prepotenti, egoisti, violenti".
Auspica un maggior dialogo fra generazioni, ma anche un maggior controllo.
"Sì: nella scuola, nella famiglia. E nei social. I social dovrebbero essere più controllati, perché in rete non sai mai chi può guardare, chi viene influenzato, chi può cercare di emulare un comportamento".
Quali sono i pericoli più grandi, secondo lei, oggi per gli adolescenti?
"Il cyberbullismo. È diffuso, ed è pericoloso. Da qualche tempo porto nei teatri e nelle scuole uno spettacolo che si chiama Orgoglio, bullismo, amore: imparare ad amarsi. Racconto la vicenda di Carolina Picchio, la ragazza che andò a una festa, fu indotta a bere, poi filmata mentre non era in sé, con i ragazzi che fingevano di avere avuto dei rapporti con lei. Quel filmato, fatto col telefono, diventò virale e Carolina non riuscì a resistere alla vergogna. Racconto la sua storia per far capire quanto uno scherzo possa portare a strappare una vita".
Anche ai suoi tempi c’era il bullismo…
"Ma sì: al liceo io sono stato bullizzato, ero arrivato in una classe dove tutti si conoscevano da anni e io ero l’outsider. Venivo sempre messo in mezzo. Ma la fortuna è che tutto finiva lì: non c’erano le riprese col telefonino che finivano sui social. Tornavo a casa da scuola, e quelle umiliazioni finivano lì. I ragazzi con cui giocavo a pallone non sapevano nulla delle mie umiliazioni in classe. Oggi i social sono una cassa di risonanza devastante".
Ma esiste ancora l’amore romantico, "alla Moccia"?
"Sì. Certo, è vero che ci si lascia anche con un vocale su Whatsapp, o che lui le dice “ti amo“ mentre lei controlla i like che ha su Instagram. Alcuni sono più cinici. Ma non tutti".
A Roma li mettono ancora i lucchetti sul Ponte Milvio?
"Come no! A volte li trovo, sul ponte. Parlo con quei ragazzi. Non sanno più che nasce tutto da un libro e da un film. Non sanno che dietro c’era Ho voglia di te. Lo prendono solo come un rituale portafortuna. Non sanno che c’entro qualche cosa. Ma a me va benissimo così".