Poeta autore di versi sublimi, anzi no: forse solo mediocri, sgangherati, urlati. Eroe romantico, pronto a tagliarsi le vene per la donna amata. Anzi no, incapace di amarla davvero, ma solo di farsi tradire, di piagnucolare, di strangolarla. Dissidente in Unione sovietica, anzi no: solo desideroso di trovarsi un posto al sole, nel mondo, magari in America. Genio, anzi no: forse solo esaltato. Bastian contrario, sempre. Pronto a scendere agli inferi di una New York disperata e sudicia, alla Taxi Driver, dove si ritrova a fare sesso per terra, con un senza fissa dimora, gridandogli nelle orecchie: "Non mi lascerai mai, vero? Dimmi che non mi lascerai mai". Eccessivo, sempre e comunque. Capace di tutto, pur di distinguersi dalla folla degli anonimi. Un uomo caleidoscopico, sfrontato, rabbioso, iconoclasta, esasperante, sempre al limite. Come una bomba a mano, alla quale il suo nome d’arte s’ispira.
È Limonov il nome d’arte che sceglie Eduard Savenko. Limonov, come il limone, ma anche come la granata da lanciare e far esplodere. Limonov, quello vero, ha concluso la sua esistenza disordinata nel 2020. Ha fatto in tempo però a ispirare il libro di Emmanuel Carrère e da lì ad approdare sullo schermo, con la regia punk, musicale e colorata, di Kirill Serebrennikov. E con l’interpretazione di Ben Whishaw, il puntuto “Q“ degli ultimi film di James Bond. Che qui si scatena in una interpretazione da premio.
Serebrennikov lavora molto sulle ambientazioni, sulla ricostruzione dei mondi: la Russia disadorna e pallida della fine degli anni ’60, i suoi intellettuali boriosi, tronfi; la New York di marce per la pace e derive personali degli anni ’70. La Guerra fredda che scorre nelle immagini di un televisore, sullo sfondo. Glissa, nell’accennare alla fine della parabola di Limonov, fondatore in Russia del partito neobolscevico nazionalista Altra Russia, ricettacolo di radicali dai due estremi dello spettro politico.
All’incontro stampa, Serebrennikov dice: "Mi affascinava Limonov, quando ero un ragazzo, perché era un rivoluzionario, un romantico. Ma quando ho iniziato a seguire la sua carriera politica, il mio sguardo su di lui è cambiato. È il suo partito che ha dato, in Russia, il primo assaggio del fascismo". E rivela: "Mentre stavamo lavorando al film, è scoppiata la guerra in Ucraina. Per me è stato un evento straziante, che mi ha stravolto la vita: ho lasciato la Russia". Adesso Serebrennikov vive a Berlino, ed è in chiara opposizione a Putin. Prima di morire, Limonov si era schierato: "Era favorevole alla annessione della Crimea alla Russia e sosteneva i separatisti del Donbass – dice Serebrennikov – In effetti, oggi si sta realizzando quello che Limonov avrebbe sognato: il ritorno dell’Urss, delle separazioni, della Cortina di ferro".
Ma di lui, allora, che cosa lo attrae? "Il fatto che era tutto e il contrario di tutto. Questo lo rendeva interessante da ritrarre artisticamente. Era un bastian contrario eterno, rivoluzionario. Ma la sua rivoluzione prevede il sangue, la violenza. E non mi interessa. Mi interessano le rivoluzioni artistiche".
Sulla guerra, dice: "Migliaia di persone in Russia stanno dicendo: vi prego, fermatevi. Ma il potere non ascolta. Due registe, Evguénia Berkovitch e Svetlana Petriïtchouk – e mostra le loro foto – sono in prigione da due anni solo per aver messo in scena uno spettacolo sul terrorismo. Tutto questo è kafkiano. Ma il potere si comporta con un sadismo sempre maggiore". E invoca la liberazione delle due registe.