Domenica 22 Dicembre 2024
LUCA SCARLINI
Magazine

Indiana e Stevenson a Venezia: eros e il suo potere

A Venezia, durante la Biennale, esposizioni statunitensi celebrano eros e desiderio: Robert Indiana con "The Sweet Mystery" alle Procuratie Vecchie e Harold Stevenson a Palazzo Donà Brusa. Opere che esplorano il potere dell'amore e della sensualità attraverso colori accesi e forme suggestive.

Indiana e Stevenson a Venezia: eros e il suo potere

All’interno delle numerosissime esposizioni che segnano la stagione della Biennale, a Venezia sono coincidenti alcune presenze statunitensi, che, a diverso titolo, rappresentano eros e il suo potere.

Alle Procuratie Vecchie (fino al 24 novembre) va in scena Robert Indiana, con una esposizione intitolata The Sweet Mystery e curata da Clare Lilley, con lo Yorkshire Culture Park. L’artista, scomparso nel 2018, è stato una figura centrale del mondo della produzione pop, specialmente per la celebre e imitatissima serie Love, che gli ha dato la celebrità, ed è stata spesso imitata. La sequenza che dà il titolo all’esposizione, nelle parole dell’artista, nasceva dalla prima (e sconvolgente per lui) lettura degli I Ching, da una foglia di Ginko biloba ("che era il mio Ying e il mio Yang, ma in chiave molto occidentale e, pericolosamente a olio su carta, un mezzo di espressione che non è permanente").

Le forme arrotondate, le ricorrenze di colori che sono varianti del giallo, favorito dall’artista (con una sequenza di marroni e ocra), le sculture con ruote che recano la scritta, Soul, sono monumenti al desiderio in tutte le sue forme. Sullo sfondo la passione per la poesia di Hart Crane, maestro della rappresentazione del disastro esistenziale metropolitano nelle accensioni di White Buildings (1926), morto suicida in giovane età. I colori accesi introducono termini della vita metropolitana, come Hardrock, e frammenti di amori con compagni di una notte o di un tempo più lungo: "he is a tiger, he is a star, he is a ruby, he is a king". Eros muta le fattezze anche del mondo dei padri e delle madri, rappresentati discinti, solo con parte dei vestiti indosso, in un dittico compiuto tra il 1963 e il 1966. Insomma come recita un’opera, 2 in forma di rombo, Love is god, una divinità capricciosa, che fa anche cambiare i nomi, come Indiana, adottato nel 1958, al posto del più prevedibile Clark.

Sempre a Venezia, poi, nel nuovo spazio a Palazzo Donà Brusa a Campo San Polo, Tommaso Calabro, che già si era messo in evidenza con alcune mostre a felici a Milano (ad esempio su Leonor Fini), propone la prima esposizione di Harold Stevenson, fino al 27 luglio. L’artista statunitense, scomparso anch’egli nel 2018, aveva lavorato a lungo nella città lagunare dagli anni ’60: questo soggiorno è il focus dell’esposizione, in cui torna l’interesse per Alexandre Iolas, gallerista straordinario che ha attraversato il mondo estetico del ‘900, con un personalissimo profilo, che ha sostenuto il lavoro dell’artista insieme a Iris Clert. Le opere pittoriche sono dettagli di corpi maschili, talvolta con rimandi al mondo della classicità greca. La scala di ingresso allo spazio espositivo è adorna di falli di marmo, e le figure tornano anche in vetro, nelle produzioni realizzate con uno dei marchi storici di Murano, Cenedese, negli anni ’60 e ’70.