Ha appena 23 anni, ma se il buongiorno si vede dal mattino la carriera di Samuele Teneggi, professione attore, promette di essere scintillante. Le ossa se le è fatte all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, portando a casa il diploma. E ha già all’attivo un paio di film dove ha ricoperto il ruolo di protagonista. Il primo – Rapito di Marco Bellocchio – è liberamente ispirato al caso Mortara (il bambino ebreo che nel 1858 venne sottratto alla famiglia e allevato da cattolico); il secondo – La storia del Frank e della Nina (regia di Paola Randi) – è la storia di un’amicizia fuori dal comune, quella di Frank, Nina e Gollum, creature invisibili agli occhi di una società che trascura certi valori eppure capaci di far sentire, ciascuno a suo modo, la loro voce. E ai quali Randi ha conferito grande spessore letterario. Fuori dal comune è pure Milano, la “casa” del film, parecchio lontana dai miti della Borsa e della Moda e molto più simile a una città di frontiera che regala bellezza solo attraverso l’abbraccio con gli altri.
"Frank è un personaggio invisibile in una società che ci obbliga ad apparire – spiega –, ma rappresenta anche il desiderio di ognuno di noi di ridisegnare la propria realtà, di ribellarsi a certe regole".
Cosa vuol dire per un giovane come lei fare l’attore?
"Per me vuol dire raccontare storie. E il cinema lo fa in modo intrigante, mettendo insieme arti e stili diversi. Ma vuol dire anche scappare dalla realtà, come accade a certi personaggi che ho interpretato".
Da cosa scappa?
"Scappo soprattutto da certe convenzioni sociali, e recitare mi aiuta a farlo. Ma fuggo anche da alcune mie paure, dall’ansia che si prova quando si hanno continue aspettative. In fondo è quello che capita anche a Frank, in cui mi rispecchio molto".
Il film è anche un inno all’amicizia. Secondo lei serve ancora avere degli amici nella moltitudine di solitudini che è la nostra società?
"Direi proprio di sì, e non è retorica. Ma per me l’amicizia ha senso soprattutto se vissuta al di fuori di certi schemi preconfezionati. Non a caso, nel film il protagonista si lega ad altri due ragazzi, Nina e Gollum, ma il loro è un amore primordiale, che va oltre i legami di sangue".
Cosa pensa del cinema italiano?
"Che ha tanto da dare, ma ultimamente non se la sta passando benissimo".
E a chi vuole fare l’attore cosa direbbe?
"Di crederci. Tantissimo. E di non confondere il sogno col desiderio. Io ho lavorato sodo, ho fatto l’Accademia, diverse masterclass. Credo in quello che faccio e ci metto tutto me stesso".
E a lei il cinema cosa dà?
"La possibilità di esprimere ciò che ho dentro. Ogni scena che giro sul set restituisce qualcosa di mio, e vorrei farlo arrivare agli altri. E poi, come ho già detto, mi dà la possibilità di raccontare storie. Un’abitudine che ho sentito già mia durante l’infanzia e che ora voglio sviluppare al meglio. Viviamo pur sempre in una società che ha bisogno di storie".
Parliamo di futuro: cosa bolle in pentola?
"Al momento sono in attesa di nuovi progetti, vedremo. Ma sono curioso anche di capire come verrà accolto l’ultimo film cui ho partecipato, La stanza indaco (regia di Marta Miniucchi, ndr). È un film che parla di malattia, ma soprattutto di umanità. Temi che mi stanno molto a cuore".