di Viviana Ponchia
Siamo in piena tempesta mediatica. E non solo quella. Fate vedere una cassetta vhs a un bambino di sette anni e vi guarderà sconcertato. Ripensate a voi stessi quindici anni fa: se vi avessero detto podcast avreste fatto la stessa faccia. Un secolo in pochi lustri. Un rischio di overdose di informazione altissimo, aggravato dagli scarti inimmaginabili della realtà. Nessuno avrebbe mai pensato ai lockdown, a una guerra alle porte dell’Europa. E poi nel massimo dell’incertezza ecco che qualcuno ha calato il jolly: elezioni a settembre. La definizione di caos è stato di estrema confusione e disordine. In greco significa voragine, vuoto.
Vi ricorda qualcosa? Non avete l’impressione che tutto sia diventato più veloce, inafferrabile e, appunto, caotico? Ma la domanda fondamentale è: in questo marasma di parole e immagini siamo ancora capaci di leggere la rotta, di trovare una stella polare? Attorno al “all you can eat“ dei mezzi di informazione e al conseguente disorientamento ruota l’undicesima edizione del Festival della tv, di cui il nostro giornale è media partner, in programma da venerdì a domenica a Dogliani (Cuneo).
All’inizio, nel 2012, si parlava solo di tv e di web. Oggi a disposizione c’è molto di più: piattaforme streaming, social media, podcast: cose nuove, cose vecchie che resistono ma sono costrette a evolversi, e noi dietro a loro. Ecco perché il tema di questa tre giorni nelle Langhe, ormai diventata punto di riferimento nazionale, è In ascolto.
Siamo tutti a rischio bulimia dentro la crescita esponenziale dei mezzi di comunicazione e setacciare il labirinto delle proposte può essere un problema. Scegliamo o veniamo scelti? Ascoltiamo, vediamo, leggiamo davvero o nello scrolling infinito la nostra capacità di attenzione si sta esaurendo? Abbiamo ancora voglia di riflettere e capire? A Dogliani ci si prova.
Un’occasione di pensiero e confronto, ma anche di intrattenimento e leggerezza che richiama ospiti da tutta Italia (quest’anno finalmente senza obbligo di prenotazione, si va ad esaurimento). Il Festival, momento di partecipazione vera alla Gaber, è in fondo il palinsesto dei nostri programmi ideali, la rassegna degli articoli che vorremmo leggere, la programmazione radiofonica che accompagna la nostra vita. Un concentrato di parole, musica e immagini da vivere con i protagonisti che più amiamo sui tre palcoscenici di Piazza Umberto I, in Piazza Belvedere e Piazza Carlo Alberto.
Il programma è notevole, gli ospiti impossibili da elencare tutti. Si va da Benedetta Parodi che ha fatto del pasticcio culinario un’arte a Fabio Canino, il conduttore perennemente a dieta. Dal maestro del trasformismo Arturo Brachetti a Caterina Caselli, che pur cambiando è rimasta sempre la stessa. E poi direttori di giornali (c’è anche la nostra Agnese Pini), stelle screanzate come Joe Bastianich, Pif e Riccardo Iacona, l’imprenditore Carlo De Benedetti e il presidente della Rai Marinella Soldi. Non si vive di sola politica ma c’è anche quella (Enrico Letta e Antonio Tajani). E poi questa è l’occasione buona per fare quattro chiacchiere con Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze. O con Teo Musso, poliedrico comunicatore considerato il pioniere di un nuovo modo di intendere la birra artigianale: Baladin è l’etichetta che porta in giro per il mondo ma anche il nome di un progetto più ampio che parla di territorio e radici. E ancora Linus, Barbara D’Urso, Enzo Iacchetti, The Jackal, Manuel Agnelli, i Marlene Kuntz Corrado Guzzanti. Stare in ascolto nel mezzo della tempesta.
In quel luogo magico che è Dogliani, paesaggio Unesco che fa ancora a meno della stazione e le strade lasciamo perdere, ma per il prossimo anno si sta studiando un sistema di navette. Lì, nella provincia di Cuneo, quella con il Pil più alto di tutte (e pensa se ci fossero le strade), è precipitato e ha messo radici il più importante evento dei media in Italia. Bel tempo ne abbiamo? Dopo mesi di siccità gli organizzatori incrociano le dita e ricordano che per fortuna c’è sempre un piano B, gratuito come tutto il resto.