Sanremo, 11 febbraio 2018 - «A un'emozione così grande non ci fai mai l’abitudine», assicura Il Volo parlando del brivido caldo sul palco dell’Ariston, scelto ancora una volta come crocevia della carriera. Tre anni dopo il trionfo di Grande amore, infatti, Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble hanno cercato l’applauso rassicurante del Festival prima di volare sotto il sole di Miami, per aprire un nuovo capitolo della loro vita. «Tornare a Sanremo è stato un grande onore di cui siamo infinitamente grati a Baglioni», spiegano. «Agli applausi si è aggiunta una standing ovation e la rentrée è diventata perfetta».
Scendendo dal palco vi è passata per la mente l’idea di riprovarci? Magari fra qualche anno? Gianluca: «Una volta vinto, puoi tornare in competizione a Sanremo solo con una canzone capace di ripetere l’impresa. Perché, a quel punto, non puoi accontentarti di gareggiare nel gruppo, ma sei costretto a una corsa di testa».
Effettivamente Sanremo tre anni fa è stato decisivo. Piero: «Al tempo soffrivamo l’idea di fare concerti all’estero e tornare in Italia solo per le vacanze, così ci siamo detti: andiamo a Sanremo, o la va o la spacca. Non avevamo nulla da perdere, perché in Italia eravamo conosciuti, ma, diciamola tutta, non troppo apprezzati. Non riuscivamo a trovare col pubblico l’empatia che invece avevamo all’estero».
Cosa pensate abbia scoperto di voi il pubblico grazie al Festival? Piero: «Che non siamo i ragazzi capaci soltanto di cantare O sole mio e Un amore così grande, ma sappiamo imbarcarci in imprese anche più rischiose riuscendo, credo, piuttosto bene. Basta pensare al concerto con Placido Domingo in piazza Santa Croce a Firenze, nato un anno e mezzo fa da un’idea vincente del nostro manager Michele Torpedine».
Ora, però, è arrivato il momento di cambiare direzione. Piero: «Credo che un artista debba tenersi aderente ai tempi e, perché no, buttare un occhio ai generi e ai suoni che movimentano la scena musicale in quel momento. Anche se il classico non muore mai, infatti, il nostro è un genere che qualcuno può considerare vecchio. Così abbiamo pensato di dare una bella rinfrescata alla nostra musica, mettendoci nelle mani di un grande produttore latino come Emilio Estefan, che non ci farà certo cantare con un’orchestra sinfonica». Gianluca: «In questi anni ci siamo rifugiati nelle cover con la consapevolezza che sarebbe stato inutile incidere un disco di inediti classico, perché il pubblico dei nostri concerti salta sulle sedie soprattutto quando facciamo O sole mio e Un amore così grande. La gente è affezionata a quel tipo di repertorio e per proporle qualcosa di veramente nuovo devi cambiare registro».
Da dove riparte la strada? Piero: «Da Miami, voliamo lì il 19 febbraio perché il 22 abbiamo in agenda il Premio Lo Nuestro cui partecipano i migliori musicisti latini dell’anno». Gianluca: «Nel 2019 compiremo dieci anni di carriera, la gente all’estero ha imparato ad apprezzarci così. Ora vogliamo un Volo 2.0. Nel nuovo album c’è molto ritmo ma anche belle parti vocali, Il Volo con un nuovo sound. Più pop, una vocalità leggera, ma sempre di qualità».
Produce Estefan. La moglie superstar si è fatta viva? Gianluca: «Sì. C’è un duetto con Gloria Estefan e ne siamo onorati. Ma l’incontro tra un’icona della musica latina come lei con un gruppo che ha le nostre caratteristiche te lo puoi anche aspettare, altri sono assolutamente sorprendenti affiancati al nostro nome. A cominciare dal primo singolo».
Chi vi sarebbe piaciuto ospitare? Ignazio: «Shakira. Ma già Gloria è tanta, tanta, roba».
Perché questa svolta latina? Ignazio: «Negli Stati Uniti abbiamo successo al settanta per cento con il pubblico adulto e al trenta con quello giovanile, mentre nei paesi latini come il nostro abbiamo le ragazzine sotto gli alberghi». Gianluca: «Quando leggo le critiche che ci definiscono dei giovani vecchi, penso che non siano talora del tutto gratuite. Ho 23 anni e, pure artisticamente, vorrei vivere un po’ di più la mia età. Sono convinto di poterlo fare solo adesso, perché poi sarebbe difficile tornare indietro».
Gli Stones dicevano ‘‘Time is on my side’’: il tempo è dalla mia parte. Gianluca: «Vero. Abbiamo gusti, vocalità e sogni diversi. Ma ciascuno sa che è il gruppo a fare la forza e che sarebbe da stupidi dividere le nostre strade. Però per continuare a camminare assieme dobbiamo rinnovarci, rischiando. Il futuro è dei coraggiosi».
Girando il mondo, qual è stata la scoperta più sorprendente? Ignazio: «Siamo andati a Tokio pensando al sushi e ne siamo ripartiti ammirati da una cultura e da un’organizzazione sociale straordinarie». Gianluca: «In Giappone regnano una civiltà e un ordine difficili da trovare altre latitudini».
Qualche inciampo? Piero: «Qualche gaffe, piuttosto. Come quando Ignazio, per esempio, davanti al Papa, invece di dire “Sua Santità” se ne uscì con “salve”».
Tokio, Sanremo, il disco con Emilio. Un altro sogno da realizzare? Piero: «Un Grammy dobbiamo provare a vincerlo. A Sanremo avremmo voluto cantare uno dei nuovi pezzi. Ma sarebbe stato inutile eseguire lì brani che il pubblico non sarebbe riuscito a trovare il giorno dopo sui social o sulle piattaforme musicali». Gianluca: «Emilio l’ha detto: questo sarà un Grammy Album. E noi ci crediamo».