Roma, 7 novembre 2024 – Viaggio in Italia non è solo un episodio importante della vita della fotografia contemporanea. Se fosse cosi, ogni volta che lo si ricorda se ne appannerebbe la forza e lo splendore. Invece, il lavoro che vide impegnati alcuni dei migliori artisti fotografi italiani (più uno scrittore) indica nei suoi elementi fondamentali un metodo. Ovvero una strada. Se la fotografia si allontana troppo da questa strada diviene sociologia o intrattenimento o, peggio, arredo “chic“. La scommessa del Viaggio non fu priva di un pizzico di ironia, del resto quegli artisti erano amici che anche si divertivano usando un titolo che riprendeva la tradizione dei Grand Tour, altisonante topos culturale, ma per così dire per sguardo interno, da italiani in viaggio nella loro madrepatria.
Gli elementi essenziali, metodologici, di quel lavoro che restano di primaria importanza sono tre. Innanzitutto, si tratta di un’opera culturale che interroga l’abitare umano, attraverso il linguaggio della fotografia, ma nutrita da visioni che hanno a che fare con l’architettura e la letteratura. In secondo luogo, il lavoro di Viaggio in Italia nei suoi esiti plurimi (libro, mostra, dibattiti) e nell’avventurosità degli eventi successivi alla prima mostra a riguardo degli scatti originali, infine pervenuti al nostro Museo Nazionale di Fotografia Contemporanea che li custodisce con cura, è dunque un lavoro che evidentemente non si concepisce come “totem“ intoccabile, come opera dall’aura “sacra“, come troppo spesso accade. Insomma, un lavoro di grande qualità ma di poca vanità, un progetto ambizioso ma non accademico.
Il tempo e la critica e l’ammirazione hanno onorato poi tale lavoro, rendendolo uno spartiacque, riconoscendone la novità e la profondità intellettuale e artistica. Il terzo elemento metodologico di quest’opera collettiva è l’adesione a una appartenenza spirituale, l’accettazione di quel demone o angelo che lega l’artista a un luogo, sempre da riscoprire, l’Italia. Un’appartenenza espressa sempre in modo problematico e mai ipocrita o cieco, ma sempre acceso di cuore visionario. Perché l’Italia forse è uno Stato, forse è una nazione e un incrocio di etnie, ma certamente è quel che gli artisti vedono.