Domenica 11 Agosto 2024
ELVIO GIUDICI
Magazine

Il trionfo di Ermione. La storia di Rossini ricomincia da qui

Al Rof un’interptretazione della rara opera pronta a diventare una pietra miliare . Direzione sublime di Mariotti, regia intelligente di Erah. E una grande Anastasia Bartoli .

Il trionfo di Ermione. La storia di Rossini  ricomincia da qui

Ermione del Rof: Anastasia Bartoli con Juan Diego Flórez. A sinistra, Mariotti

Funzione d’un festival musicale serio è porre pietre miliari: proponendo interpretazioni dei titoli maggiori che tengano conto della sensibilità odierna, o riscoprendo titoli desueti. Entrambe le cose si sono verificate a Pesaro nel quarantacinquesimo Rossini Opera Festival, che ha messo in scena Ermione, l’opera forse la più alta ma certamente la più audace concepita da Rossini: sepolta per quasi due secoli, rarissimamente eseguita tuttora.

Guidando un’orchestra Rai in assoluto stato di grazia, Michele Mariotti non l’ha fatta ascoltare: ci ha fatto capire per la prima, entusiasmante volta, cosa essa davvero sia. Tragedia della fatalità che s’impone sulla fragilità umana come morbo corrosivo nutrito dalla sensualità nevrotica connaturata all’impossibilità d’incontro tra quattro esseri divorati da un sentimento non corrisposto (Ermione è amata da Oreste ma ama Pirro che ama Andromaca che l’accetta solo per salvare il figlio): onde un fiato tragico reso da scrittura di portentosa unicità nel costruire un involucro di classicità neoclassica che via via si polverizza sotto l’urto di espressionistiche eruzioni laviche interne.

È il come Mariotti rende di bruciante teatralità tale geniale ossimoro, a rendere sublime lo spettacolo: cura fenomenale della scolpitura d’ogni singola parola lungo impennate, scarti dinamici parossistici su cui lunghi silenzi improvvisi spalancano sguardi di ghiacciata angoscia che pure, misteriosamente, sono pieni di musica. Teatro musicale come ben di rado accade d’ascoltare. Cast che ottempera al meglio alle improbe richieste rossiniane. Juan Diego Flórez è un Oreste di delicata impotenza, Enea Scala un Pirro di sensazionale ferinità, Victoria Yarovaya una buona Andromaca: ma è lei, la protagonista Anastasia Bartoli, che non dimenticheremo mai più. Grande voce, certo, strabordante d’armonici nei gravi, imperiosissima in alto: ma è la forza incandescente dell’accento, la gamma portentosa delle dinamiche che sospende sospiri su abissi di dolente abbandono e poi scaraventa in alto macigni di rabbiosa protervia, enfatizzandoli con inimitabile carisma scenico, a stampare le stigmate dell’artista di levatura storica.

E c’è un grande, grandissimo regista a fare da perfetto alter ego di Mariotti: Johannes Erath usa con mirabile intelligenza simboli, metafore, contemporaneo e antico, fondendoli in una gestualità che a ogni istante traduce sulla scena la genialità della scrittura musicale. Non ho dubbi: la storia dell’interpretazione rossiniana ricomincia da qui.