Deserto del Negev, agosto 1949: un reparto dell’esercito israeliano prende quartiere per vigilare sui “nuovi“ territori nel Sud del Paese. Lo Stato di Israele è appena nato e ha dovuto subito combattere contro gli stati arabi confinanti, ma la guerra è vinta e ora è il momento di rafforzare le difese, eliminare gli infiltrati, vigilare nel deserto poco lontano dal confine. I soldati si sistemano e cominciano i pattugliamenti: chilometri e chilometri fra le dune, nel caldo torrido, senza incontrare nessuno. Finché non spunta un misero insediamento, poche baracche e poche persone, ma potenzialmente pericolose, quindi da spazzare via. Sono beduini, non hanno intenzione di combattere e nemmeno armi a disposizione, come si scoprirà a “operazione“ terminata, con lo sterminio di tutti i presenti. Tutti tranne una ragazza, tremolante e terrorizzata, che viene portata via, all’accampamento dei soldati, e inizialmente protetta dal comandante, di cui seguiamo ora dopo ora le scelte, i pensieri, anche le sofferenze, perché la puntura di un insetto gli ha procurato un’infezione che lo tormenta.
Questa prima parte del romanzo di Adania Shibli – Un dettaglio minore (La nave di Teseo) – ha qualcosa di ossessivo e sfuggente: ricorda molte pagine di Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, romanzo anch’esso d’ambiente militare e desertico (italiani nella guerra d’Etiopia). Il tempo pare sospeso, ma gravato d’attesa per un’imminente, probabile tragedia, che puntualmente arriva. Il comandante, sempre più afflitto dall’infezione e dal caldo, sempre più immerso nel mondo separato dell’accampamento, a un certo punto smette di proteggere la prigioniera, la violenta e poi la consegna allo stupro di gruppo dei suoi sottoposti, finché non la uccide, con allucinata freddezza.
Questa storia è la premessa per la seconda parte del romanzo, che ci porta invece ai nostri giorni. Cambia lo sguardo, da maschile a femminile, protagonista una donna palestinese che a decenni di distanza viene e conoscere la storia e ne rimane impressionata. Non perché il fatto le sembri così scioccante – episodi simili sono avvenuti anche in seguito – ma per la coincidenza di date: l’uccisione della ragazza era avvenuta esattamente 25 anni prima della sua nascita, lo stesso 13 agosto.
Parte un’altra ossessione: saperne di più, conoscere la storia della ragazza, della sua gente. La donna dunque parte da Ramallah e la seguiamo nel complicato zig zag – pratico ma anche emotivo – che una palestinese da anni reclusa di fatto in Cisgiordania deve compiere per entrare in Israele, fra strade sconosciute, villaggi un tempo noti ma ora inesistenti, sempre con l’angoscia d’essere fermata e sottoposta a controlli, con l’ansia d’essere scoperta e trattata chissà come (per noleggiare l’auto ha dovuto farsi prestare una carta d’identità).
La donna cerca notizie ma capisce presto che non troverà maggiori informazioni su quella tragica, ma piccola storia del 1949. Riesce però a scoprire il luogo preciso dell’accampamento dove la ragazza beduina fu detenuta e uccisa: ora è abbandonato in mezzo alla sabbia, in zona di esercitazioni militari. Le scene che Shibli dedica al vagare della protagonista fra i resti dell’accampamento militare abbandonato, sono il culmine di uno stato fisico d’angoscia e di un pervadente senso d’assurdo, elementi che sono il succo del romanzo, nonché espressione di uno stato d’animo generale in quello spicchio di mondo. Fino al lancinante finale.
Un dettaglio minore ha ricevuto il LiBeraturpreis 2023, ma la Fiera del libro di Francoforte, dopo gli attentati di Hamas del 7 ottobre, ha preferito cancellare e rinviare la cerimonia di consegna per discutibili (e infatti discussi) motivi di opportunità. A maggior ragione, e per quanto sta accadendo nel Vicino Oriente, Un dettaglio minore è un libro da leggere proprio in questi giorni così difficili.