Giovedì 26 Settembre 2024
FRANCESCO
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Il tradimento val bene un romanzo "Il primato di Omero, la forza di Tolstoj"

Giorgio Montefoschi e la passione d’amore nel suo ultimo libro: "“Anna Karenina“ resta di una potenza assoluta"

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di Francesco

Ghidetti

Una cicatrice che non va via. Che resta sempre lì. Fissa. Magari dimenticata. Ma che la letteratura fa tornare alla luce. Con pagine dolorose e piene di verità. Il tradimento come forma generativa della letteratura. Vero, Giorgio Montefoschi?

"Vero, verissimo – risponde lo scrittore romano, classe 1946, premio Strega nel 1994 – Specie se il tradimento riguarda l’amore, i sentimenti. Ti resta attaccata come una ciste che non puoi togliere. Magari si può ricomporre esternamente, ma dentro sai benissimo che c’è. Dolorosa come poche altre cose nella vita".

Voi scrittori parlate spesso di tradimenti.

"Si tratta di un elemento fondante della letteratura. Basti pensare a Elena e Paride: la guerra di Troia, in fondo, nasce da un tradimento. Oppure Paolo e Francesca, che il Sommo Poeta fa precipitare nel girone dei lussuriosi. Per non parlare di Boccaccio o, per avvicinarci di più alla contemporaneità, a Madame Bovary di Gustave Flaubert o a Julien Sorel nel Rosso e Nero di Stendhal..."

Qual è il romanzo migliore?

"Non farei una classifica dei ‘migliori’. Diciamo che il più potente è Anna Karenina, di Tolstoj. Comincia con un tradimento – il padrone di casa e la governante – finisce con un tradimento: Anna fa le corna al marito. Tolstoj è un moralista, condanna. Ma non basta per capire che si tratta di un meccanismo della vita. La letteratura può descrivere molto bene questo meccanismo. È suo compito principale".

Tradire è un po’ morire?

"Certo, non è uno slogan, non è affatto una frase a effetto. E la letteratura lo dimostra. Viene fuori in modo inequivocabile la forza dei sentimenti e, soprattutto, la sofferenza".

La letteratura fa soffrire?

"E vorrei vedere il contrario. Nel nostro caso il tradimento è un vero e proprio atto di morte. è la cancellazione dell’altro. Vuol dire ‘di te nulla m’importa’".

Il suo ultimo romanzo Dell’anima non mi importa (Nave di Teseo) parla di una coppia che si frantuma come un asteroide e che lascia detriti. Detriti che poi si cerca di ricomporre...

"Sì, lo scoppio è fragoroso e banale al tempo stesso. Lui, Enrico, il traditore, si mette con la collega Simona. Lascia la moglie, assai più giovane di lui, Carla, e la figlia. Poi riprende la normale vita di coppia. Ma Carla la cicatrice se la tiene dentro".

Enrico in seguito non vuole parlare di quanto successo...

"Infatti, per lui è un pensiero disturbante, che dà angoscia. Lui ha tradito, ha mollato tutto, dopo un trauma fisico e cerca di rilanciarsi con l’amante. Ma, paradossalmente, il sentimento nuovo lo prova per il padre di lei, l’anziano professore. Probabilmente perché è saggio, è forte, lo precede nell’età che Enrico tra poco raggiungerà".

Forse Enrico cerca un padre.

"Tutti i personaggi del mio romanzo lo cercano. Carla, la moglie tradita, pensa e ripensa al padre che ha perduto. E infatti sposa Enrico che ha tanti anni più di lei ed è amante, marito e, lei spera, padre. Lo cerca (e lo trova) Simona, che sta a Milano, ma sente la nostalgia di Roma in quanto luogo dove vive il padre. Non è insomma un caso che Carla sia disperata perché offesa. Offesa da una figura che doveva rappresentarne tre".

Per scrivere di ‘offese’ potenti, bisogna averle vissute?

"No. Parto dal presupposto che si scrive meglio di cose che non si sono vissute perché un tema ignoto ti costringe ad approfondire".

Come una seduta dallo psicanalista, diciamo.

"Se fossi andato in analisi non avrei fatto lo scrittore. Il dramma, la fatica di questo, chiamiamolo così, mestiere sta proprio nella difficoltà di scavare per far emergere emozioni e sentimenti e paure e speranze. Un lavoro duro, una fatica terribile".

Non è una battuta: l’unica che non si può tradire è Roma, col suo sole e i suoi cieli...

(ride) "Certo che no! Però il capitolo cui sono più affezionato è quello della fuga in montagna di Carla ed Enrico..."

La montagna è forte, dura, lì si fa fatica. Una metafora dei dolori della vita. Né bella. Né brutta. Diciamo originale. Montefoschi ce lo dimostra con queste pagine.