di Nino Femiani
PAESTUM (Salerno)
La direttrice Tiziana D’Angelo non riesce a trattenere l’emozione. "Questo scavo e i reperti venuti alla luce possono cambiare la storia conosciuta dell’antica Poseidonia". In effetti quello che sta emergendo negli scavi di Paestum (l’antica Poseidonia, appunto) è qualcosa di unico e sensazionale, capace di riscrivere il perimetro e l’iconografia di quest’antica colonia della Magna Grecia sul mar Tirreno, costruita dagli abitanti di Sibari che vollero una città che potesse commerciare via mare con gli Etruschi.
Lungo le mura dell’antica città sono emersi un tempietto con decorazioni in terracotta colorata, una gorgone, sette teste di toro e centinaia di ex voto tra cui spiccano le immagini di un eros a cavallo del delfino. Gli scavi iniziarono, quasi per caso, nel giugno 2019 con alcuni cantieri aperti dall’allora direttore del Parco archeologico Gabriel Zuchtriegel (oggi direttore a Pompei) per la manutenzione delle cinte murarie. Emersero già allora alcuni frammenti di capitelli e reperti storici, dal valore inestimabile.
Tutto ciò servì agli archeologi a capire che, forse, lì nei pressi esisteva un’altra struttura sacra. Così lo scavo riprese, dopo la pausa della pandemia, con un’intensità e un’ansia che divoravano studiosi e appassionati di archeologia. Fino a portare alla luce gli stupefacenti reperti che oggi possiamo ammirare. Un basamento in pietra con i gradini d’accesso e la delimitazione della cella che ospitava la divinità (forse Poseidon), le decorazioni in terracotta colorata del tetto con i gocciolatoi a forma di leone, una straordinaria gorgone, una commovente Afrodite. E sette strabilianti teste di toro, l’altare con la pietra scanalata per raccogliere i liquidi dei sacrifici e centinaia di ex voto (alcuni ‘griffati’ dagli scalpellini della famiglia ‘Avili’).
È come se di colpo si fosse spalancata una finestra sulla città che vide il suo massimo splendore tra il VI e il V secolo avanti Cristo. Fu in quegli anni che Poseidonia, dopo la distruzione di Sibari, acquisì il prestigio che conosciamo, con l’ampia agorà – ossia la piazza principale – e i santuari principali ai lati. In quegli anni furono costruiti tutti i suoi monumenti maggiori: verso il 560 a.C. la Basilica (che è probabilmente un tempio di Hera), il 510 il cosiddetto Tempio di Cerere (in realtà dedicato ad Atena), il 460 quello di Nettuno (che non sappiamo a quale divinità fosse dedicato, probabilmente o Zeus o Apollo). Perché è così importante il ritrovamento del tempietto? Perché in qualche modo dimostra l’autonomia artistica e culturale della comunità greca di Paestum e sconfessa chi ha sempre creduto che nelle colonie ci si limitasse a copiare le produzioni della madrepatria.
Il tempietto venne edificato quando sono già stati costruiti i tre più importanti edifici monumentali arrivati fino a noi, ha dimensioni molto contenute – misura 15,60 metri per 7,50 – con quattro colonne sul fronte e sette sui fianchi, come gli altri in stile dorico, ma si distingue per la purezza delle forme. "È il più piccolo tempio periptero dorico che conosciamo prima dell’età ellenistica, il primo edificio che a Paestum esprime pienamente il canone dorico", spiega Zuchtriegel, l’ex direttore di Paestum. "Quasi un modello in piccolo del grande tempio di Nettuno, che allora appunto doveva essere in costruzione, una sorta di missing link (l’anello mancante, ndr) tra il VI e il V secolo a.C.".
Come tutte le grandi scoperte anche questa solleva nuovi e appassionanti interrogativi: a quale divinità era dedicato? Quando fu distrutto e perché? "Per motivi ancora tutti da chiarire, venne abbandonato, tra la fine del II e l’inizio del I sec. a C", premette D’Angelo. Quindi il tempietto era in funzione anche nel periodo della dominazione lucana fino all’arrivo dei romani, intorno al 280 a.C.
"Per capire di più, certo, ci vorrà tempo, serviranno studi, restauri, analisi di laboratorio. Intanto si procede con le ricerche", conclude la direttrice D’Angelo.