Venerdì 13 Settembre 2024

Il teatro dell’empatia

Daniele Finzi Pasca racconta lo spettacolo ’Titizé - A Venetian Dream’, in scena a Venezia "Provo a cogliere la magia di una città" .

Il teatro dell’empatia

Il mondo in bilico sul filo: ecco lo spettacolo ’Titizé - A Venetian Dream’. . In alto Daniele Finzi Pasca

Quarant’anni da girovago sulle strade del mondo. Dalle bidonville di Bombay alle cerimonie olimpiche di Torino e di Sochi, dal bar di Milano trasformato nella sala prove del monologo ’Icaro’ agli studios del Cirque du Soleil a Montréal, l’avventura umana e artistica di Daniele Finzi Pasca è quella di un viaggiatore sulla coda del tempo piovuto tra ponti e calli della Serenissima con la missione di stupire. Portatore di un mondo in bilico sul filo che ’Titizé - A Venetian Dream’, lo spettacolo prodotto assieme al Teatro Stabile del Veneto in scena al Goldoni fino al 13 ottobre, tende sopra le teste del pubblico con la poetica di concetti cari al regista luganese quali il Teatro della Carezza e il Gesto Invisibile. Sul palco un campionario di varia umanità raccontato con un linguaggio onirico e l’accortezza di mettere sempre bene in evidenza l’uomo che sta dietro al gesto acrobatico.

Finzi Pasca, ’Titizé’ in veneziano significa ’tu sei’.

"Già, chi sei tu veneziano o forestiero davanti allo spirito e alla storia di questa città? Visto che ‘Titizé’ cade, tra l’altro, nel 40° compleanno della compagnia, la domanda mi sembra azzeccata".

Qual è l’intento di uno spettacolo così?

"Provo a cogliere con lievità quanto di magico c’è dietro a una città e alla sua cultura tenendomi lontano dai luoghi comuni. Perché i viaggiatori sono affamati di storie, cercano gli occhi della gente, i suoi pensieri, non stereotipi da cartolina".

In scena ci sono diversi Pulcinella. Nei dipinti a Ca’ Rezzonico, Tiepolo utilizzò la più famosa maschera napoletana come allegoria della caduta della Repubblica di Venezia. E lei?

"Probabilmente quella di Pulcinella è la figura che spiega meglio il concetto italico di clowneria; il giocoliere del pensiero, il sofista, incarnato da figure emblematiche come quelle di Fo, di Benigni, di Troisi".

Il finale dello spettacolo vede in scena rinoceronti elefanti, ippopotami. Il rinoceronte è quella ‘Clara’ portata a Venezia a metà del Settecento e raffigurata in un celebre quadro di Pietro Longhi?

"Sì, lei. E c’è pure l’elefante indiano che nel 1819, a fine carnevale, se ne fuggì dal serraglio in Riva degli Schiavoni dov’era esposto inseguito dai soldati austriaci. Vista l’inefficacia delle fucilate, i militari per abbatterlo dovettero ricorrere ad un cannone leggero. Lo scheletro è ancora esposto al Museo della Natura e dell’Uomo dell’Università di Padova. L’ippopotamo no, quello ce lo siamo inventati".

Guardando la strada fatta finora, qual è il suo primo pensiero?

"Che sono stato fortunato. Ho avuto l’opportunità di viaggiare dentro progetti importanti conoscendo persone speciali che mi hanno insegnato una valanga di cose. E ho avuto il privilegio di farlo assieme agli amici di sempre. Spero solo di avere abbastanza tempo per realizzare tutto quel che mi porto nel cuore".

Fra due anni cadono pure i vent’anni della sua prima cerimonia olimpica. Quella di chiusura di Torino 2006.

"Sono tra i pochi registi ad essere entrato nel mondo dei grandi progetti rimanendo fedele alla semplicità dell’esperienza teatrale. La sfida delle cerimonie olimpiche sta nell’esatta coscienza del tempo, nel sapere che alla fine avrai solo un paio di settimane per finalizzare un lavoro di mesi, di anni, e che in quei pochi giorni tutto dovrà incastrarsi alla perfezione".

Un pensiero a Milano-Cortina l’ha fatto?

"Le cerimonie sono una meraviglia, ma anche uno sforzo enorme. Bene, quindi, sedermi a riflettere su cosa sarebbe bello fare, ma non necessariamente mettermi lì a costruire in prima persona. Se arrivasse la proposta, però, la valuterei con attenzione. Alle cose pazze non si dice mai di no".

Impressioni delle cerimonie parigine?

"Bella e interessante quella d’apertura, perché ha avuto il coraggio di cambiare paradigma trasformandosi in un evento diffuso, peccato solo la sfortuna del tempo inclemente. Certo, con tutto il mondo davanti alla tv, forse ci sono stati dei passaggi discutibili, ma la Francia è il Paese del can can, quello del tiriamo su le gonne e facciamo vedere le gambe… E poi nell’arte bisogna osare. A Parigi l’hanno fatto. Bravi".