Martedì 7 Gennaio 2025
RICCARDO JANNELLO
Magazine

Il romanzo ritrovato del maestro Manzi

Ripubblicato (tradotto dal tedesco) “Il lungo viaggio di Einar“: il manoscritto era andato perduto. L’epopea di un medico in Lapponia

Albero Manzi (1924-1997) durante una puntata di Non è mai troppo tardi

Albero Manzi (1924-1997) durante una puntata di Non è mai troppo tardi

Non è mai troppo tardi per un romanzo, inedito in Italia, che è stato ritradotto dal tedesco dove aveva fatto successo negli anni Sessanta: è il romanzo scritto da Alberto Manzi, il maestro che negli anni del boom aveva insegnato agli italiani ancora analfabeti a leggere e scrivere. Una stima più volte confermata dice che Non è mai troppo tardi (in onda fra 1960 e 1968) permise a un milione e mezzo di adulti di conseguire la licenza elementare. Un programma copiato in 72 Paesi e premiato dall’Unesco per la sua lotta all’analfabetismo. Manzi con il suo volto sempre sorridente conduceva la trasmissione in piedi di fronte a una lavagna: scriveva lettere e parole e le illustrava con un disegno. L’orario prima di cena era stato studiato con la Rai e il ministero dell’Istruzione proprio per coinvolgere la maggior parte dei lavoratori dopo il loro turno. L’epopea di Non è mai troppo tardi si è conclusa quando i dati sulla scolarizzazione divennero confortanti, anche se potrebbe nuovamente essere utile.

L’eredità del maestro è nell’archivio del Centro Alberto Manzi a Bologna: migliaia di documenti che riflettono, dicono i curatori, "la molteplicità e l’ampiezza di interessi di un personaggio singolare, il suo essere in anticipo sui tempi e una sperimentazione sempre originale e per molti versi indimenticabile”; la Rai lo celebrò con una miniserie interpretata da Claudio Santamaria nel 2014 e perfino la musica ha tributato al programma di Manzi i suoi meriti, da Jovanotti a Caparezza. E una stella variabile porta il suo nome: AMOABV3.

Manzi, pur passato da bimbo nei Balilla Marinaretti, dopo l’8 settembre 1943 riuscì a sfuggire ai rastrellamenti dei giovani da portare nella Repubblica sociale rifugiandosi grazie al padre nella sede dell’Ordine di Malta; decise poi di arruolarsi volontario nel Battaglione San Marco aggregato alla VII Armata britannica. Proprio l’esperienza della guerra ne ha segnato il futuro. "Facendola – raccontò a Roberto Farné – ho scoperto che tante cose per cui si pensava valesse la pena vivere erano solo falsità. L’idea che avevo era di aiutare i ragazzi, rinnovare un po’ la scuola per cambiare certe cose che non mi piacevano". E nella scuola Manzi riversò tutta la sua creatività, continuando a insegnare alle elementari anche dopo l’esperienza televisiva. Contestò perfino la valutazione degli alunni al posto della pagella: "Non si può dare un giudizio perché è sempre in movimento. Se il prossimo anno uno leggesse quello che ho dato quest’anno, avremmo bollato il bambino per sempre". Fu sospeso, ma il suo carisma lo fece reintegrare.

E concluso l’insegnamento, si trasferì in Maremma e a Pitigliano si fece amare dalla comunità che lo elesse sindaco del centrosinistra nel 1995, solo due anni prima della sua morte, il 4 dicembre 1997.

Nel centenario della nascita è arrivata la sorprendente pubblicazione di un suo romanzo del 1963. Il manoscritto originale è andato perduto e quindi, in accordo con gli eredi, l’editore Gallucci l’ha ritradotto dal tedesco usando anche i disegni che apparvero nella versione uscita in Germania. Il titolo è Il lungo viaggio di Einar e la curiosità è l’ambientazione: la Lapponia. La storia di un medico, appunto Einar, che salva pazienti che vivono lontani da Dio, nel Katai, il gelo più terribile, invece di godersi una bella clinica a Stoccolma come ha fatto il suo amico Eugenes. In questo romanzo breve ma intenso, e al quale la traduzione di Angela Ricci rende una prosa scorrevole e perfetta e i disegni di Heino Meissl seguono con sapienza la storia, il medico riesce a portare in ospedale Eskil combattendo la tormenta, i folletti cattivi, i diavoli, gli animali inferociti che cercano cibo. Un viaggio trainando la slitta, che si spezzerà, e poi a mano il ferito, una favola immersa in un ambiente contro il quale l’uomo si confronta e vince: una metafora per spiegarci che bisogna sempre lottare contro ogni ostacolo, ogni bruttura. "Al mondo – scrive Manzi – ci sono tantissimi Einar, i cui nomi rimangono molto spesso nell’oblio. I pionieri infatti camminano davanti a tutti e la folla non li riconosce mai per quello che sono. È a tutti questi Einar che dedico il mio lavoro".