Venerdì 21 Marzo 2025
VALERIO BARONCINI
Magazine

Quando Ingrid Bergman scrisse sul Carlino: “Io non sono bella”

Il giornale nasceva a Bologna il 21 marzo del 1885 e quest’anno compie 140 anni. L’inizio in tre camere disadorne poi le firme eccellenti: Andrea Costa, Carducci, Pascoli e Guereschi

Ingrid Bergman scrisse sul Carlino: "Io non sono bella". Era il 1945, anno in cui vinse l'Oscar per 'Angoscia'

Ingrid Bergman scrisse sul Carlino: "Io non sono bella". Era il 1945, anno in cui vinse l'Oscar per 'Angoscia'

Se prima del 1885 il carlino fu soltanto una moneta (con cui si pagava il sigaro e il resto era il “nostro“ foglio), dopo divenne esclusivamente un giornale, il Carlino con la C maiuscola, il Resto del Carlino. Non è un caso che anche oggi, metonimicamente, quando a Bologna si chiede il giornale arriva il Carlino. È uno scambio che profuma di famiglia, di bottega, di storia. E oggi che la testata festeggia 140 anni – fondazione il 20 marzo, prima uscita il 21 con le notizie del 20 guardando con coraggio al presente e futuro digitale – si rafforza la duplice funzione dichiarata nel nome: quella provvisoria, di soccorso ai tabaccai ottocenteschi e dunque alla società, e quella più nobile e senza tempo di critica e di moralizzazione. “Dare il Resto del Carlino“ significa dare la pariglia, non fare sconti.

Tutto iniziò in tre camere disadorne e senza luce, così le descrivevano le cronache dell’epoca, a Palazzo Pallotti, in via Garibaldi 3 a Bologna. Da lì un lungo cammino che ha portato il progetto di Cesare Chiusoli, Alberto Carboni, Francesco Tonolla e Giulio Padovani a essere protagonista in Emilia-Romagna, nelle Marche, nel Veneto e nel Paese, con quindici edizioni e circa 600 giornalisti tra dipendenti e collaboratori che curano quotidianamente carta, web, video, podcast. Impossibile citare tutte le firme, ma un sommario elenco fa venire i brividi: Amilcare Zamorani, Andrea Costa con un coraggioso articolo sul Primo Maggio, Alfredo Oriani, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Giovanni Pascoli, Benedetto Croce, John F. Kennedy (con il suo testo “Cosa dirò a Kruscev“), Giovannino Guareschi e Albert Einstein. Sì, proprio Einstein il 24 marzo 1949 si rivolgeva ai lettori dopo l’atomica spiegando che "una dolorosa esperienza ci ha insegnato che il razionalismo non basta per risolvere i problemi della nostra esistenza sociale. Estenuanti lavori di ricerca hanno avuto spesso tragiche conseguenze per l’umanità".

Chi più di ogni altro ha legato il nome (e la firma) al Carlino fu però Giosue Carducci – senza accento, come lui preferiva –, il Nobel delle Due Torri. Indimenticabile l’aspro dibattito sulle tasse del settembre 1893 (gli venivano chieste ottomila lire): "Accuso al Governo e all’opinione il signor Agente delle tasse, di oltraggio, d’ignoranza, d’arbitrio a rendere iniqua e odiosa la legge. E non pago. Avanti!". Dopo un aspro botta e risposta – e uno sconto di duemila lire – il poeta si mise in pari con l’erario. E poi come dimenticare la cena del 1901 fra Carducci e D’Annunzio proprio nella redazione del giornale (allora in piazza Calderini) raccontata da Augusto Majani (Nasica) in parole e caricature. Oppure quella volta in cui Mino Maccari presentò al mondo Giorgio Morandi (era l’8 giugno 1928). Lo stesso Morandi che, attraversate le pagine nere delle guerre, incontrò il direttore Giovanni Spadolini nel 1957 e gli donò, due anni dopo, una natura morta con le famose bottiglie come auspicio per non dormire più in albergo ma in una casa (presa in via Chiudare a Bologna).

Spadolini, il direttore più duraturo. Memorabile il suo ritratto di Enrico Mattei nel giorno della morte: "Lavoratore instancabile, imprenditore geniale e dominatore della pubblica opinione con l’unico svago della pesca", scriveva il futuro presidente del Consiglio.

Non a caso, forse, via Mattei è il nome della strada dove ora si trova la sede centrale grazie alla famiglia Monti Riffeser. Pensare che il nome del Carlino fu accantonato il 21 aprile del 1945, dopo il baratro del Fascismo e delle violenze mondiali, ma tornò, con un referendum fra i lettori, il 4 ottobre 1953 con una edizione in parte a colori. Una rivoluzione per l’epoca, cui ne sono seguite molte altre per un giornale che è anche diario, romanzo collettivo, segno della storia, raccolta di storie. Come quella di Ingrid Bergman, l’attrice premio Oscar che il 22 dicembre 1947 scriveva: "Io non sono bella". E in anticipo sui tempi ammoniva che "la donna deve essere soprattutto se stessa, una persona non un oggetto". Nel primo numero, toh, c’era proprio una donna che fumava un sigaro in copertina.

Poi la storia recente: le grandi tragedie (Vajont, la rotta del Po e quelle attuali), le rivoluzioni (dal ’68 al ’77), le stragi (Ustica e 2 agosto), il nuovo millennio tra attentati e terremoti (Emilia 2012 e Marche 2016). I nostri primi 140 anni.