Domenica 1 Settembre 2024
P. F. DE ROBERTIS
Magazine

Il padre della patria che spaventò Mussolini

A Roma una grande mostra su Giacomo Matteotti e sul delitto di un secolo fa. Dalla lotta al fascismo a icona della democrazia

Il padre della patria che spaventò Mussolini

Il padre della patria che spaventò Mussolini

Dei tre grandi delitti politici che hanno segnato e cambiato la storia dell’Italia unita, il delitto Matteotti (gli altri due sono il regicidio di Umberto e l’affare Moro) è forse quello che ha più colpito con le sue implicazioni il cuore del potere in quel momento in auge e che perciò ha rischiato più degli altri due di far crollare il sistema. Mai come con Matteotti era direttamente finito implicato il vertice dello Stato.

Su ciò che accadde a Roma il pomeriggio del 10 giugno 1924 si sono scritti infatti migliaia di libri, ricostruzioni storiche, si sono girati film e documentari, tutti alla ricerca di una risposta che finora nessuno era riuscito a dare in maniera certa, né in sede storica e men che mai processuale: fu Benito Mussolini a dare l’ordine esplicito di uccidere Matteotti o il presidente del consiglio si era limitato sbrigativamente a chiedere che al segretario del Psu fosse "data una lezione", o di "toglierlo per un po’ dalla circolazione" così da impedirgli di pronunciare un discorso alla Camera che si annunciava imbarazzante per il capo del fascismo e forse sulla stessa famiglia Mussolini?

La domanda delle domande trova adesso una risposta chiara nei documenti che vengono presentati nella mostra-evento apertasi a Roma, dal titolo Giacomo Matteotti, vita e morte di un padre della democrazia (fino al 16 giugno a palazzo Braschi), in cui sono esposti alcuni reperti di indiscutibile rilevanza storica, mostrati per la prima volta in pubblico. Primi tra tutti alcune lettere scritte nel 1925 da Amerigo Dumini a Mussolini, in cui l’esecutore materiale del delitto evidenzia la diretta responsabilità del capo del governo come mandante dell’assassinio, ricordandogli di non essere disposto a pagare lui solo, mero esecutore di ordini, per un fatto che egli aveva commesso su diretta richiesta del capo supremo. Un modo per esercitare una pressione sul Duce, e indurlo (come poi avvenne) a far sì che le condanne penali per il delitto fossero lievissime (Dumini fu condannato solamente a cinque anni, di cui quattro condonati per amnistia nel 1926).

Un modo per inchiodarlo alle sue responsabilità e garantirsi l’incolumità (Dumini aveva anche scritto un memoriale, poi depositato presso alcuni notai negli Stati Uniti). Le lettere esposte adesso sono la vera e propria "pistola fumante" che mancava e nessuno aveva mai visto.

"Mussolini non solo sapeva, ma ha dato l’ordine di uccidere Matteotti", ha spiegato Mauro Canali, biografo di Matteotti e curatore scientifico della mostra, confermando alla luce delle prove raccolte le ipotesi che circolano ormai da cento anni. È proprio Canali ad aver raccolto parte della documentazione inedita, che viene presentata nelle quattro sezioni della mostra insieme a giornali d’epoca, fotografie in buona parte poco conosciute, lettere private.

La prima parte della mostra è Matteotti da giovane e il suo impegno nel Polesine a sostegno delle battaglie dei braccianti e dei mezzadri. C’è poi la sezione che illustra la sua attività politica nel Partito socialista e nelle sue scissioni (l’ultima è quella che porta all’esclusione dei riformisti – di cui Matteotti faceva parte – e alla nascita del Partito socialista unitario), la sezione dedicata al sequestro e alla morte e poi, molto interessante, l’ultima, riservata all’approfondimento del mito di Matteotti nell’immaginario politico italiano (si calcola che nel Paese esistano oltre 3500 strade intitolate a lui). Particolare interesse anche sul possibile movente dell’assassinio, che come in tutti i gialli che si rispettino ci aiuta a far ancora più luce sul mandante: Matteotti aveva raccolto prove decisive sul malaffare della famiglia Mussolini (sia su Benito sia sul fratello Arnaldo) che stava per rendere pubbliche.

La mostra di Roma risulta così un momento importante per ricostruire e approfondire da vicino uno dei padri della nostra democrazia, uno di quegli uomini che pagarono con la vita il coraggio di opporsi a ciò che lui stesso aveva avuto la lucidità di vedere prima degli altri. E che anche alla luce della tragica reazione dei fascisti aveva ben capito quale fosse la metodologia migliore per colpire il regime nascente, ossia la denuncia puntuale e documentata (l’anno prima di venire ucciso, Matteotti dette alle stampa il famoso Un anno di dominazione fascista nel quale denunciava gli orrori del fascismo che stava per imporsi), la preparazione, l’intransigenza morale, il coraggio. Una lezione anche alla politica di adesso, troppo spesso leggera, opportunista e inconcludente.