Ezio Bosso, il musicista che – pur costretto alla sedia a rotelle, negli ultimi anni – sorrideva, spiegava la sua musica con una dolcezza e una passione incredibili. Che continuava a suonare, fino all’ultimo: e che, anzi, in molti hanno cominciato a conoscere proprio negli ultimi tempi, quando faticava a parlare, con il corpo contratto dalla malattia – una sindrome neurodegenerativa – e dagli spasmi: un groviglio di torsioni che trovavano miracolosamente pace, e armonia, davanti alla tastiera del pianoforte, dove tutto sembrava ritornare giusto. Bosso sembrava ritornare alla musica, il suo pianeta nativo.
Ma non tutti conoscono la vicenda artistica e umana di Ezio Bosso (1971-2020), non tutti hanno visto le sue performance da ragazzo. Non tutti lo hanno visto vestito di pelle, in piena divisa punk. Ce lo fa vedere, questo Ezio Bosso giovane, insieme a molte testimonianze, a molte riprese inedite, il documentario Ezio Bosso. Le cose che restano di Giorgio Verdelli, che è stato presentato ieri fuori concorso a Venezia e che uscirà nelle sale italiane solo il 4, 5 e 6 ottobre.
Nel film, ripercorriamo la vita di un ragazzino nato a Torino, con una incredibile vocazione musicale. Un ragazzino che diventa un giovane contrabbassista, virtuoso dello strumento, e che comincia a collaborare con il cinema. Sono molto belle, e toccanti, le testimonianze di Gabriele Salvatores, di Silvio Orlando, di Enzo Decaro – l’attore della Smorfia, compagno di Massimo Troisi – e del figlio di Pino Daniele. Si scopre un Ezio Bosso che sapeva volare dalla musica classica alla musica da film. C’è sempre una strada umana, c’è sempre un amico che porta Bosso a collaborare con registi o altri musicisti.
Ma, più di tutto, c’è la voce di Ezio Bosso. Che in varie interviste, spiega che cosa sia per lui la musica: un modo di vedere colori nuovi, di sentire sapori, di trovare un mondo che altrimenti non viene rivelato. Più di tutto, c’è un atteggiamento di un artista che aveva una tecnica immensa, ma preferiva dimenticare che esistesse, preferiva "respirare" insieme con il pubblico i momenti musicali; un musicista che riusciva a comunicare le emozioni come nessun altro.
"Ezio è stato importante non solo per la musica che ha fatto, ma anche per le parole che ha detto", dice il regista Giorgio Verdelli, che aveva già presentato a Venezia il documentario Paolo Conte. Via con me e che aveva diretto altri due documentari sulla musica: Pino Daniele. Il tempo resterà e Mia Martini: fammi sentire bella.
Bello è Ezio Bosso, in questo docufilm, sia nella sua versione contrabbassista punk, sia in quella di pianista già segnato dal destino, con le braccia come rami contorti, ma capace ugualmente di "diventare" musica, e di illuminarti con un meraviglioso sorriso.
gbog