Sabato 22 Marzo 2025
Lorenzo Guadagnucci
Magazine

Il mondo del 2040, in che clima vivremo: “Emergenza superata, ma non saremo salvi”

Fabio Deotto ha curato “Come ne usciremo”, il presente visto dal futuro. “Stiamo andando verso democrazie degradate e una crisi ecologica persistente”

energia eolica

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Roma, 21 marzo 2025 – Che cos’è la speculative non fiction e perché utilizzarla per parlare della crisi climatica? Il giornalismo non basta?

"La speculative nonfiction prova a raccontare la nostra realtà presente utilizzando un punto di vista futuro, concentrandosi su dinamiche che già oggi esistono ma che ancora non sono del tutto visibili. Vale per la crisi climatica, ma anche per il lavoro, le migrazioni, l’erosione della democrazia liberale. Nel libro abbiamo raccontato tendenze e problematiche reali, preferendo gli strumenti della saggistica a quelli della narrativa. In certo senso, quindi, è anche questa una forma di giornalismo".

Il libro è collocato nel 2040: in soli 15 anni possiamo davvero farcela, come suggerisce il libro? Non pensa che le classi dirigenti abbiano invece già scelto di non intervenire, se non con misure di facciata?

"Il libro non presenta una situazione risolta, immagina piuttosto che di qui ai prossimi anni verranno adottate alcune delle misure che oggi ancora ritardiamo. Ma siamo lontani dal “farcela”: il sistema economico e produttivo non è cambiato, l’ossessione per la crescita e l’accumulo è rimasta. È uno dei rischi che corriamo: che la classe dirigente decida di avviare una transizione morbida che abbia come primo scopo quello di mantenere immutate le gerarchie di potere".

Fra i punti più inquietanti prospettati nei vari interventi c’è la prospettiva della cittadinanza sdoppiata, con i “sub”, cittadini di secondo livello. Forse, nei fatti se non nel diritto, è già così?

"Angela Saini, l’autrice del pezzo sulla cittadinanza britannica di secondo livello, ha preso spunto dai discorsi reali di alcuni politici britannici, e naturalmente da una situazione di discriminazione e sfruttamento che, sebbene non istituzionalizzata, persiste da tempo. Nel futuro che abbiamo immaginato c’è stata una prima forma di liberalizzazione delle migrazioni, sono stati creati nuovi corridoi umanitari e i confini sono diventati più porosi, alcune nazioni invece hanno deciso di approfittare delle nuove dinamiche per incrementare lo sfruttamento. Lo scorso febbraio il giornalista Sachin Ravikumar, parlando della Gran Bretagna attuale, scriveva che ci stiamo avvicinando a una forma moderna di schiavismo. La prospettiva che questa situazione venga sancita per legge, purtroppo, non è così lontana".

Altri temi sono il lavoro, la gentrificazione, lo svuotamento, una nuova politica: che mondo si descrive in “Come ne usciremo”?

"È il prodotto di una transizione poco coraggiosa e sostanzialmente iniqua, quindi è un mondo un po’ più sostenibile del nostro per alcuni, e ancora più insostenibile per altri. Le disparità tra paesi occidentali e il Sud globale sono aumentate. Inoltre, la transizione è stata avviata quasi esclusivamente sul piano energetico, perciò anche se le emissioni sono diminuite, l’integrità degli ecosistemi è ancora compromessa, la biodiversità è ancora in picchiata e non sono state adottate misure per arginare in modo effettivo lo sfruttamento di acqua e suolo. La crisi climatica è stata insomma affrontata come se fosse unicamente un problema energetico, quando in realtà è un fenomeno più sfaccettato, che richiede un cambio di prospettiva trasversale, soprattutto sul piano economico".

Manca un riferimento diretto alle guerre, oggi questione incombente. C’è un motivo?

"Per immaginare uno sforzo congiunto internazionale era necessario tratteggiare uno scenario geopolitico meno frammentato di quello attuale. Non fosse altro perché alcune misure, come la decarbonizzazione dei trasporti o la parziale liberalizzazione delle migrazioni di cui parlavo sopra, hanno bisogno di una cooperazione internazionale più salda per poter essere implementate. Perciò sì, è sicuramente un periodo più pacifico di questo, ma le guerre esistono ancora".

L’esperienza della pandemia a suo avviso che segni ha lasciato nell’immaginario collettivo? E’ stata istruttiva?

"L’esperienza del Covid ci ha messo innanzitutto di fronte ai nostri limiti cognitivi. Da anni gli esperti paventavano l’arrivo di una pandemia globale, ma finché non ci siamo ritrovati chiusi in casa, con le ambulanze che ululavano fuori dalla finestra, non riuscivamo a credere che uno scenario simile fosse davvero possibile. Ora sappiamo che la nostra normalità è precaria e può essere stravolta, ma è una lezione di cui fatichiamo a fare tesoro. Vedo una generale, seppur comprensibile, tendenza alla rimozione, rispetto agli anni della pandemia. Ci dicevamo che questo rallentamento forzato ci avrebbe insegnato a cambiare rotta, a prendere nuovamente contatto con la realtà, ma siamo tornati a correre nella stessa direzione, ancora più velocemente".

“Come ne usciremo” va considerato un incoraggiamento o un ammonimento?

"Il titolo è volutamente ambiguo. Possiamo “uscire” da questa situazione, nel senso che abbiamo tutti gli strumenti sottrarci al collasso, ma comunque vadano le cose “ne usciremo” cambiati. Il “come” è tutto da vedere".