C, l’uomo del destino. Lui, il conquistatore, l’imperatore, il semidio, ma sempre tenacemente uomo e per questo capace anche di “deragliare“ per amore. C ovvero Cesare, Giulio Cesare, il mito che ha ispirato musicisti e poeti, Shakespeare in primis, e che tre secoli fa, nel 1724, Georg Friedrich Händel portò in scena nella sua opera più monumentale per celebrare un altro kaiser, Re Giorgio I d’Inghilterra, fondatore della Royal Academy of Music. "Perché Cesare rappresentava la grande Roma e, insieme ad Alessandro Magno, incarnava l’ideale delle radici dell’Occidente", osserva Chiara Muti che firma la regia dell’atteso allestimento del Giulio Cesare, capolavoro barocco che debutterà stasera al teatro Alighieri di Ravenna (anche in diretta sul portale Operastreaming) dove replicherà domenica e viaggerà poi fra teatri storici, il 24 e 26 gennaio a Modena, il 31 gennaio e 2 febbraio a Piacenza, il 14 e 16 febbraio a Reggio Emilia, il 21 e 23 a Lucca, poi il 21 e 23 marzo a Bolzano. Il tessuto musicale è affidato a Ottavio Dantone con la sua elegante Accademia Bizantina, e un cast di primissimo piano con Raffaele Pe, star dei controtenori, nelle vesti di Cesare e il soprano Marie Lys conturbante Cleopatra, e con loro Delphine Galou, Filippo Mineccia, Davide Giangregorio, Federico Fiorio.
Il racconto esce dai libri di storia per approdare al palcoscenico. Nel 48 a.C. Cesare è arrivato ad Alessandria d’Egitto inseguendo il rivale Pompeo, ma si trova alle prese con un’altra lotta di potere, quella fra Tolomeo e la sorella Cleopatra. E il faraone, per entrare nelle grazie di Cesare, fa uccidere Pompeo e gliene offre la testa. Tutto gira attorno a Cesare, tutti quanti hanno un motivo per odiarlo o per cercare i suoi favori, tutti sanno che lui è – o vuole essere – il centro del mondo. Nella lettura di Chiara Muti, questo è chiaro fin dall’esordio: su una scena metafisica, con otto rovine dorate (che alla fine si uniranno a comporre il volto del grande romano), sono in tanti a desiderare la corona, ma sarà soltanto Cesare a conquistarla subito. Un predestinato. Ognuno degli altri personaggi vive un proprio sentimento: Cornelia, vedova di Pompeo, patisce il lutto e la violenza, Sesto, il figlio, è mosso dallo spirito di vendetta, Tolomeo, "effeminato amante", è un narciso capriccioso, isterico e grottesco, Cleopatra è la finzione e la seduzione. "È come una danza dei caratteri – osserva la regista – e tutti i personaggi sono satelliti rispetto a Cesare che impersona grandezza e giustizia". Anche se cadrà nelle braccia di Cleopatra in un incanto fatato, come Bottom che con la testa d’asino finisce adescato da Titania nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Sulle note dell’aria più suadente di Cleopatra, "Se pietà di me non senti", Chiara Muti prefigura anche già la tragica fine dei due amanti: lui pugnalato alle idi di marzo, lei freddata dal morso dell’aspide. Musicalmente, l’opera è ricca, con le sue 33 arie e i recitativi dall’intensa vivacità drammaturgica, aprendo la strada alla sublime bellezza che sarà di Mozart e Da Ponte. "A differenza di quanto avveniva in epoca barocca, in quest’opera Händel non riutilizzò sue musiche già scritte, ma compose ex novo l’intera partitura – fa notare Ottavio Dantone –. Teneva particolarmente a questo lavoro che risponde a una precisa strategia emotiva, in perfetta armonia fra musica e teatro: il Giulio Cesare presenta tutti i risvolti degli affetti, amore, odio, collera, tenerezza". "E ha al centro questo personaggio incredibile, Cesare, con il contrasto tra la figura superpotente e la voce dolce ed espressiva che crea la sorpresa, disattende le attese", spiega Raffaele Pe che a questo “baroque hero“ ha dedicato anche un lavoro discografico, vincitore del premio Abbiati. Questo Cesare che nel finale incorona Cleopatra mentre – come voleva il canone barocco – tutti in coro invocano la pace: "Ritorni omai nel nostro core / la bella gioia ed il piacer / Sgombrato è il sen d’ogni dolor, / ciascun ritorni ora a goder". Eh, se tutte le guerre si chiudessero così...