Roma, 7 marzo 2023 - Il suo nome è Veltroni, Walter Veltroni. Classe 1955, ha un corposo curriculum vitae. È stato, tra l’altro, sindaco di Roma; vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni culturali con Romano Prodi a Palazzo Chigi; direttore dell’Unità; fondatore e primo segretario del Partito democratico. Ma attenzione: al lavoro politico ha sempre affiancato la ricerca culturale. Lo testimoniano i numerosi saggi, le collaborazioni a giornali e riviste, ma soprattutto i romanzi. A partire da La scoperta dell’alba che, quando uscì, nel 2006, fu un vero e proprio caso editoriale. Smessi (però mai dire mai...) i panni del politico prestato alla cultura, Veltroni adesso si diletta – nel senso letterale del termine: si vede che si diverte – col giallo. O, quantomeno, prende spunto dal giallo per raccontare le paure e le speranze della contemporaneità, il tutto avvolto da un’ironia dolceamara. E si cimenta con le avventure di Giovanni Buonvino, commissario di Villa Borghese.
L’ultima tappa del percorso letterario di Veltroni si intitola Buonvino tra amore e morte (Marsilio). Una storia straziante sullo sfondo di una Roma cupa eppure impossibile da non amare. Una storia che nasce con l’angoscia e la disperazione del commissario perché marito e possibile vedovo. Già, la sua Veronica, cui hanno sparato proprio nel giorno del matrimonio, è sospesa tra la vita e la morte. Lui le sta vicino, ma lei non pare scuotersi, non sembra tornare alla vita e i medici non sono certo ottimisti: "Non ci sono miglioramenti – la fredda diagnosi del dottore che dà una rapida occhiata alla malata del letto 29 –, e questo può già essere considerato un peggioramento". Buonvino piange, piange tanto, piange da solo. E il suo stato d’animo oscilla tra una disperazione senza fine (molto ben resa dall’autore) e una rabbia sorda. Già, perché oltre ai sentimenti c’è la prosaica domanda: chi, e soprattutto perché, voleva uccidere la neosposa?
Vendetta che ha origine da qualche vecchia indagine del commissario (protagonista di altri tre romanzi, sempre editi da Marsilio) o, magari, dal passato di Veronica che ha perso Roberto, collega e fidanzato amatissimo prima di Giovanni? Oppure, ancora, rabbia di un amante segreto? Tanti dubbi che affollano la mente e il corpo del commissario. Ma a complicare le cose e la vita di Buonvino e dei suoi ragazzi (una squadra al contempo umanissima e sgangherata) ci penserà il ritrovamento del cadavere di un barbone in piazza di Siena. Un cadavere scomodo perché il suo nome è Giorgio Caruso, figlio di Pietro, questore di Roma durante l’occupazione nazista e implicato in torbide vicende, tra cui il massacro delle Fosse Ardeatine. Il corpo è crivellato di colpi. Come se fosse stato fucilato.
E qui ci fermiamo per non rivelare troppo. Una sola avvertenza: il finale sarà spiazzante, molto spiazzante. Più in generale, però, occorre fare una riflessione su Veltroni scrittore. Che, al di là di questo romanzo, fissa dei paletti narrativi (oseremmo dire ossessioni) comuni a ogni opera. Il primo è certamente il passato, declinato come storia degli italiani. Che sia la guerra o l’Italia repubblicana, Veltroni indaga le ferite (magari ancora aperte) della nostra storia, sia con la forma romanzo, sia con il saggio divulgativo. Il secondo, strettamente legato al primo, è la memoria. Una memoria che, di fatto, legittima il presente, una memoria a volte lirica e dolcemente nostalgica, a volte feroce nel suo incistarsi nell’anima (elementi assai presenti nelle quattro avventure fin qui uscite del commissario).
Il terzo elemento caratterizzante l’opera veltroniana è Roma, la città dell’autore e amata come poche altre cose, forse la vera protagonista dei romanzi (e in parte anche dei saggi). Basti questa descrizione tratta dall’ultima opera: "Era un tramonto romano, uno di quelli che ti stropicciano il cuore: sbaffi di arancione e di rosa, colori pastello sparsi in mezzo al cielo e un’arietta fresca che non è più il ponentino – cessato da tempo – ma una brezza che rassicura e predispone al meglio della vita". Quarto, lo stile. C’è chiaramente una ricerca accurata delle parole per rendere semplice (semplice: non banale) la lettura. E molto altro ancora. Perché, per afferrare il “messaggio“ dell’ex leader dem forse vale prendere a prestito Italo Svevo: la vita non è bella né brutta, ma originale. Leggere per credere le storie di Buonvino...