Lunedì 25 Novembre 2024
CHIARA DI CLEMENTE
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Il debutto tv dei fratelli D’Innocenzo: "Dostoevskij è tutte le nostre ferite"

Da mercoledì 27 su Sky la prima serie firmata da registi “cult“. Sei episodi disponibili subito tutti insieme "Timi dà la caccia a un serial killer in un mondo intriso di male: non parliamo della società, parliamo del dolore".

Il debutto tv dei fratelli D’Innocenzo: "Dostoevskij è tutte le nostre ferite"

Damiano e Fabio D’Innocenzo (36 anni) alla presentazione romana della serie di Sky Dostoevskij con - da sinistra - Gabriel Montesi (32 anni), Filippo Timi (50 anni), Carlotta Gamba (27 anni), Federico Vanni (56 anni)

Delitto senza castigo. Dopo l’anteprima del febbraio scorso al festival di Berlino e le proiezioni speciali di quest’estate in alcuni cinema, arriva finalmente su Sky la prima serie televisiva firmata dai fratelli D’Innocenzo. Dostoevskij sarà disponibile su Sky Atlantic e su Now! da mercoledì 27 novembre proposta anche in modalità “binge watching”, tutti i sei episodi a disposizione degli spettatori in pacchetto completo fin da subito. L’opera dei fratelli D’Innocenzo prodotta da Sky e da Paco Cinematografica è la prima dei gemelli romani 36enni autori di film acclamati come La terra dell’abbastanza, America Latina, Favolacce, girata in pellicola: può sembrare paradossale, perché si tratta di un prodotto destinato al piccolo schermo ma la scelta stilistica si rivela anche nella visione in tv portatrice di un valore aggiunto in profondità e potenza delle immagini.

La storia, ormai nota, è quella della caccia a un serial killer, soprannominato dalle forze di polizia Dostoevskij poiché firma ogni delitto con lunghe lettere filosofiche – modello Raskòl’niokov prima della redenzione – che trattano di morte, colpa ed espiazione, intrapresa dal poliziotto Enzo Vitello, interpretato da Filippo Timi. Il film è ambientato in una non meglio precisata campagna laziale deturpata dalla desolazione di piccoli e grandi mostri di cemento in decadenza, e pozzanghere con cani immobili; nella natura e tra gli uomini sembra soffiare, da lontano, il respiro di Reygadas. Fin dalla prima scena veniamo subito a conoscenza del fatto che il personaggio di Timi è un uomo dall’anima spezzata. Ha appena tentato il suicidio. Scopriremo che Vitello è profondamente solo: incapace di comunicare con la figlia adolescente che ha scelto di perdersi pur di allontanarsi da lui, può contare solo sull’amicizia del suo superiore. La sua vita è un deserto oscuro. In una delle sue lettere il serial killer spiega che la motivazione dei delitti è la vita stessa. In quale inferno stiamo precipitando?

Il racconto dell’opera fatto dai fratelli D’Innocenzo parte dalla piena soddisfazione di aver lavorato in grande libertà, e dalla felicità di aver intessuto con il cast (e sicuramente anche con la coraggiosa quanto impegnativa produzione) un rapporto di sincera armonia, di enorme fiducia reciproca. Tanta tangibile grazia, per un film che in cui si intrecciano labirinticamente – spesso sdoppiandosi o specchiandosi tra loro – strati, intensità e livelli (ontologici, morali, familiari, sociali) di dolore. Un mondo dominato dal male, in cui la desolazione sembra annientare persino la speranza, figurarsi la redenzione. Un mondo che parla della società attuale?

"No. Quando scrivo non punto la penna verso il mondo – spiega Damiano D’Innocenzo – mio. Tutte quelle asprezze, quelle muffe, il catrame, lo stagno, quel posto sono io. Io non cerco di raccontare il mondo, e pretendere di fare un atto di denuncia attraverso una serie tv sarebbe vile, vigliacco. No, io parlo di me stesso, cerco di correggere i miei sensi di colpa e di venire a patti coi miei fantasmi, cerco di comprendere me e mio fratello, e tutto si riduce lì. Il gesto artistico è lì. Io parlo di ciò che mi fa addormentare storto e di ciò che mi fa svegliare con una malinconia di fondo che non proviene da ieri ma da un passato lunghissimo e da un presentimento che ho avuto: non credo che le cose cambieranno. Che non significa essere pessimista. Ma significa non voler essere superficiale, cercare di approfondire questo lato della vita, di esplorare questo palazzo del dolore che cresce in maniera verticale. Adesso con Dostoevskij abbiamo avuto, in un’opera della lunghezza di cinque ore, la possibilità di approfondirlo, questo dolore, con più tempo, e con più tempo mi sono dedicato alle ferite che voglio in qualche modo cercare non di guarire, ma di osservare".

"Più che una storia sulla vulnerabilità maschile e femminile – spiega Fabio D’Innocenzo – Dostoevskij è un racconto sull’importanza degli incontri che ci fanno evolvere e a volte anche mettere in crisi: la crisi è interessante, senza crisi la vita si risolverebbe in una serie di monologhi, sterili. Invece credo ci sia bisogno di guardarsi attorno, cosa difficilissima in un momento come questo in cui siamo rinchiusi nella solitudine delle convenzioni sociali. Anche il serial killer ha una sua vulnerabilità però il suo percorso è quello dell’approdo – certo in maniera radicale – a un’autonomia di pensiero, a uno sguardo obliquo del mondo che lo circonda, che circonda tutti noi". "Un mondo – proseguono i D’Innocenzo – in cui comunichiamo tantissimo ma in cui comunichiamo sempre e soltanto con delle velleità quasi politiche, celebrative. Velleità autoreferenziali con cui nascondiamo le cose più importanti. Abolire le maschere è quel che ci interessa". Abolire le maschere, scavare: nel film il corpo di Timi, sottoposto a una colonscopia, è mostrato fin nelle viscere.

Autentica opera d’autore, recitata benissimo da tutti i protagonisti – con un superlativo Filippo Timi, una straordinaria, commovente Carlotta Gamba nel ruolo della figlia Ambra e la sorpresa del talento possente e al contempo delicato di Federico Vanni, “scoperto” dai cineasti a teatro, insieme all’habituée dei D’Innocenzo Gabriel Montesi – Dostoevskij è un “unicum” nella produzione di serie tv italiane, destinato di certo a una distribuzione internazionale.

Mentre sul futuro, i fratelli non si sbilanciano: "Hollywood? Sì certo, i contatti ci sono, ma se poi le cose si riducono a degli incontri zoom miserrimi... Sono tanti i progetti che abbiamo a cuore – confermano –: portare al cinema Petrolio di Pasolini, o i Canti del caos di Moresco, o I poveri di Vollmann, o Dissipatio H.G. di Morselli, o Manganelli... Un secondo Dostoevskij? Chissà. Di certo faremo il terzo".