Nel 2025 cadono anche i 125 anni dalla morte di Oscar Wilde: non è un anniversario “tondo“, ma nella natia Irlanda c’è già un ghiotto cartellone di celebrazioni. Dunque, Wilde poeta, saggista, romanziere, commediografo, icona gay, dandy.
Fermiamoci qui: oggi chi è il dandy? Intanto, il dandy non è, o non è soltanto, un uomo elegante. Men che meno è un uomo alla moda, che anzi disprezza: "La moda è una forma di bruttezza così intollerabile che siamo costretti a cambiarla ogni sei mesi", diceva appunto Wilde. Il dandy non segue le mode: semmai, le impone. Ma è chiaro che le sue scelte hanno un significato che va oltre il mero dato vestimentario.
Quando George “Beau“ Brummell si presentò a un allibito Reggente con i pantaloni “a tubo di stufa“, lunghi fino alle caviglie, non inventò soltanto quella che poi sarebbe diventata la regola, ma provocò anche la società della Restaurazione, per la quale il ritorno ai pantaloni al ginocchio, le culottes, significava quello all’ordine dopo le turbolenze rivoluzionarie (dei sans-culottes, giustamente).
Non è una questione di destra o sinistra, però: il dandy se ne infischia o, meglio, le trascende. Come ricorda Olivier Rolin nel suo ultimo saggio, la rivoluzione del 1848 divise due dandy. Baudelaire, entusiasta, si mise a girare per Parigi indossando una tuta da operaio con l’aggiunta di una cravatta rossa e di una cartucciera gialla, mentre Balzac deplorava: "Parigi è in mano alla gentaglia più vile".
In occasione della rivoluzione precedente, quella del ‘30, il più famoso dandy francese del secolo, il conte d’Orsay, aveva mostrato una favolosa sprezzatura saltando una barricata sul suo cavallo ovviamente inglese, applauditissimo dalla plebaglia.
Insomma, il dandy è il contrario dello snob (etimologicamente: sine nobilitate).
Lo snob ambisce all’approvazione della società, o almeno di chi ne costituisce il vertice; il dandy, per lo più, la disprezza. O almeno se ne frega. Il sommo dandy che abbiamo perduto, Philippe Daverio, raccontava che fece sì il Sessantotto, ma andando alle manifestazioni con la sua brava cravatta a farfalla, ovviamente annodata a mano (un uomo elegante non indossa un papillon “fatto“ nemmeno se è strafatto).
E qui torniamo all’attualità. Oggi un vero dandy non può che essere “contro“, visti i modelli che ci vengono propinati. Basta accendere la tivù o sfogliare un settimanale trucido per vedersi tracimare addosso degli avanzi di balera terrificanti, un’alluvione di tatuaggi, ciabatte, catenine e catenone, tute, piercing e altra ferraglia. E poi: cappellini in testa anche al chiuso, telefoni trillanti ovunque e comunque, piedi su ogni possibile superficie, rutto libero.
In un momento in cui l’anticonformismo di massa è diventato il vero conformismo, per il DC (che avete capito? Dandy Contemporaneo) è forse il momento di recuperare un po’ di decenza d’abbigliamento, d’accordo, ma anche un minimo di quelle “buone maniere“ che tanti sforzi sono costate a legioni di nonne, mamme, sorelle, tate e zie (soprattutto zie, sono loro che ci salveranno, come sapeva Longanesi).
Torniamo all’antico e sarà un progresso, ammoniva Verdi. A differenza di quel che credono i verdiani della domenica, non parlava dell’arte ma del suo insegnamento: ma vale anche per il comportamento. E dunque forza con gesti un tempo banali e oggi favolosamente anticonformistici, meravigliosamente rétro, provocatoriamente inattuali tipo leggere qualche libro, parlare a bassa voce, cedere il posto ad anziani e signore, arrivando nei casi più spericolati alla telefonata per ringraziare della bella serata, specie se è stata terrificante, a due fiori, alla cravatta decente, alla consecutio temporum.
Ecco: oggi il vero dandy è riconoscibilissimo. È chi usa il congiuntivo.