Martedì 26 Novembre 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

Il carisma dei Giganti di Mont’e Prama

Cinquant’anni fa la grande scoperta archeologica in Sardegna: oggi sono un simbolo (e un brand internazionale) dell’isola

Il carisma dei Giganti di Mont’e Prama

I Giganti di Mont’e Prama nell’esposizione al Museo “Giovanni Marongiu“ di Cabras

CABRAS (Oristano)

Sisinnio Poddi, quando l’aratro portò alla luce la poderosa testa scolpita nella pietra calcarea, capì d’essere alle prese con qualcosa di importante, tanto che corse ad avvisare le pubbliche autorità. Era il marzo 1974 e il contadino della penisola del Sinis, nella Sardegna occidentale, aveva appena scoperto uno dei “pugilatori” di Mont’e Prama, sculture che allora ovviamente non si chiamavano così, mentre oggi, con gli “arcieri” e i “guerrieri”, in tutto 28 magnifiche statue, sono autentiche celebrità dell’archeologia contemporanea. I “Giganti di Mont’e Prama” – orgoglio, simbolo e (anche) brand commerciale della Sardegna – hanno compiuto cinquant’anni e non smettono di suscitare curiosità, oltre che vari interrogativi sulla storia antica dell’isola.

L’anniversario tondo, il mezzo secolo trascorso dalla sensazionale scoperta, fra le più importanti del ‘900, ha anzi favorito nuove esposizioni, massicce visite ai musei di Cabras e Cagliari dove i Giganti sono esposti, e anche altri viaggi all’estero delle statue scolpite fra la fine dell’Età del bronzo e l’inizio dell’Età del ferro, circa tremila anni fa.

L’ultima missione oltremare ha portato a Madrid “Manneddu”, uno dei pugilatori più volte protagonista di esposizioni all’estero, per una mostra al Museo archeologico nazionale (aperta fino al 12 gennaio), concepita come occasione di dialogo fra la Sardegna e la penisola iberica, con il Gigante del Sinis affiancato a sculture in pietra e in bronzo ritrovate nell’attuale Spagna. Un dialogo del tutto naturale, visti gli scambi intercorsi fra le due regioni: e basta osservare un mappamondo, o anche orientare una mappa mettendo in basso il golfo di Oristano, per cogliere il diretto “ponte” geografico e culturale fra i due poli.

Anche il viaggio a Madrid, comunque, ha fatto storcere il naso a chi teme per la “tenuta” delle statue viaggiatrici e a chi contesta un uso espositivo dei Giganti troppo disinvolto, decontestualizzato. Le statue di Mont’e Prama, nel bene e nel male, tengono sempre banco: hanno il carisma dei gradi.

Al museo “Giovanni Marongiu” di Cabras, dove sono esposti sette Giganti, per i cinquant’anni è stata allestita un’esposizione speciale, con le statue all’interno di un unico ambiente, in modo che il visitatore possa girare attorno a guerrieri, arcieri e pugilatori, cogliendo ogni dettaglio, ogni aspetto delle splendide figure; il tutto per non più di sette minuti, limite massimo di sosta per ogni gruppo ammesso.

Nonostante la fretta obbligata, difficile sfuggire all’emozione, osservando i dettagli delle impugnature, gli occhi con il doppio cerchiello, gli scudi sollevati sopra il capo, le bardature scolpite nella pietra, l’imponenza stessa dei Giganti (alti oltre due metri), insomma tutto ciò che ha reso celebri e anche popolari le sculture, oggi onnipresenti nei dépliant – istituzionali e no – che celebrano le molte meraviglie sarde.

Al museo di Cabras, grazie alle pareti di vetro dei laboratori, si assiste dal vivo anche ai lavori di restauro, mai interrotti e destinati anzi a durare a lungo, visto che le varie campagne di scavo cominciate nel ‘74 e proseguite nei decenni successivi hanno portato alla luce migliaia di frammenti da pulire, catalogare, interpretare, collocare vicino agli altri. Anche un profano capisce che lo studio dei Giganti è tutt’altro che concluso e proprio quest’apertura di pensiero, in rapporto alla civiltà nuragica, costituisce buona parte del fascino di Mont’e Prama, tanto più che il sito, come Cabras, è poco distante da Tharros, l’antica città fenicia poi cartaginese e romana, un sito archeologico in riva al mare fra i più ricchi e suggestivi del Mediterraneo.

Luciano Marrocu, nella sua Storia popolare dei sardi e della Sardegna (Laterza 2021), ha scritto che i Giganti, per quanto raffigurazioni di uomini armati, non celebravano una società nuragica "costruita attorno alla guerra", della quale non v’è traccia archeologica, semmai "rievocavano i tempi eroici in cui gli antenati avevano messo le basi di un ordine sociale che si pretendeva immutabile ma che immutabile evidentemente non era".

I Giganti, dunque, erano espressione di una fase di mutamento, e forse è per questo che molti secoli dopo riescono ancora a “parlarci”.