
. Ecce Homo attribuito a Caravaggio: in mostra a Roma e al centro di un film
"Non posso dirti cos’è altrimenti ci sarebbe il caos". Quando Jorge Coll, mercante d’arte spagnolo proprietario di Colnaghi, la galleria d’arte più antica del mondo, noto “sleeper hunter“, cercatore di opere “dormienti“, capisce di essersi imbattuto nel quadro più importante della sua carriera, la parola d’ordine è "discrezione". Deve elaborare in breve tempo una strategia per battere i suoi colleghi sul tempo e circondarsi solo di persone fidate. Attribuito inizialmente alla scuola di José de Ribera, il quadro era stato messo all’asta da Ansorena. Le foto del dipinto arrivano via whatsapp sui cellulari dei mercanti d’arte che iniziano a fiondarsi a Madrid: vendita programmata per l’8 aprile 202, base d’asta 1.500 euro. Con il chiaroscuro che caratterizza l’arte di Caravaggio, Àlvaro Longoria racconta l’affascinante storia di un dipinto che ha attirato l’attenzione di collezionisti e commercianti d’arte in tutto il mondo. Nelle sale da oggi al 12 marzo, il Caravaggio perduto – coproduzione italo-spagnola (Morena Films, Mediacrest, Estrategia Audivisual, Fandango) – è un documentario, avvincente come un thriller, che accompagna lo spettatore nel processo di svelamento dell’Ecce Homo (1606 o 1609) attribuito a Michelangelo Merisi.
"Non ho mai pensato potesse esistere un Caravaggio sconosciuto, è stato come ritrovare un amico. Àlvaro è veramente riuscito a rendere il crescendo di un’emozione. Tutti noi – racconta Maria Cristina Terzaghi, prima storica dell’arte ad aver visto il dipinto e membro del gruppo di esperti coinvolti nell’autenticazione – ci ricordiamo il momento esatto in cui abbiamo visto il whatsapp con la foto del quadro. Una cosa simile era successa solo nell’81 con il Martirio di Sant’Orsola. Non ho mai avuto una certezza così assoluta su un’attribuzione. Ho sfidato la pandemia e preso l’aereo prima di tutti perché pensavo che sarebbe andato all’asta e non l’avrei visto mai più".
Fino ad allora il quadro, in possesso della famiglia Pérez de Castro Méndez, era rimasto appeso nel soggiorno di una ordinaria casa nel quartiere Salamanca di Madrid. "Questo dipinto non sarebbe mai arrivato al pubblico se non mi fossi trasferita in una casa più piccola – racconta Mercedes Méndez Atard, moglie di Antonio Pérez de Castro –. Un giorno, mentre stavo impacchettando i mobili con il pluriball insieme a mia nipote lei mi ha detto: “Perché non lo imballi e non lo porti alla galleria, visto che hai posto per appenderlo? C’è già il furgone qui“’. Così il dipinto è uscito per la prima volta dalla porta di casa".
Prima di affidarlo alla Casa d’aste Ansorena il dipinto viene esposto, senza successo, nella vetrina di un antiquario madrileno che, non avendo ricevuto offerte, ne vende solo la cornice. A pochi giorni dall’asta iniziano a fioccare le offerte: la prima è di 600mila euro, la seconda di 3 milioni. Rifiutata. La famiglia ritira il dipinto dall’asta e si affida a Coll e ai suoi soci, Filippo Benappi e Andrea Lullo, per l’intermediazione: il valore stimato è di oltre 300 milioni di euro. Ma lo stato spagnolo qualifica il quadro come bene di interesse culturale (“bic“) e ne blocca l’esportazione facendone precipitare il valore. Dopo un’importante restauro a cura di Andrea Cipriani, "mago di Firenze", sarà ceduto, secondo i rumor, per 36 milioni di euro – "sell and regret", vendi e pentitene, dirà Coll – ma la condizione è la disponibilità a esporlo al pubblico.
Partito nel 1657, durante la peste, da Napoli alla volta di Madrid per volere della moglie del viceré conte di Castrillo, l’Ecce Homo dopo quatto secoli ha fatto ritorno in Italia: fino al prossimo 6 luglio è tra le “star“ della mostra evento romana a Palazzo Barberini.