di Giovanni Bogani
Non è una conferenza stampa come le altre, quella di Gianni Amelio che presenta, in concorso a Venezia, il suo film Il signore delle formiche, nelle sale già domani. Non lo è per il tema del film: il processo ad Aldo Braibanti, poeta, drammaturgo omosessuale, accusato di aver "plagiato" un ragazzo, e condannato per questo a nove anni di carcere, nell’Italia del 1968, che in fondo è appena l’altro ieri. Non lo è perché Amelio si apre, in maniera disarmante, sulla sua infelicità.
"La parola plagio ora ci fa venire in mente Al Bano e Michael Jackson: ma nel ’68 non era così", esordisce Amelio. Il signore delle formiche, ossia Aldo Braibanti, appassionato studioso di questi insetti, ma anche ex partigiano e intellettuale antifascista, amico di Bussotti e Carmelo Bene, Bellocchio e Pasolini, finì sotto processo a Roma con l’accusa di plagio, ovvero di manipolazione della volontà di un’altra persona. Un reato che oggi non esiste più. Si condannò la sua storia omosessuale – l’omosessualità non era un reato – con un giovane studente. Il quale, dal canto suo, fu trascinato dalla famiglia in un ospedale psichiatrico, sottoposto a cicli di elettroshock e cure forzate.
"Non voglio santificare Braibanti – dice Amelio – È un personaggio arrogante, non empatico. Ma la storia che racconto nel film dice molto di un’epoca non lontana, in cui gli omosessuali erano “invertiti“ da curare. Come fu detto anche a me, in Calabria, quando avevo sedici anni: un omosessuale o si cura o si ammazza". Aggiunge il regista: "Anche il personaggio della madre del ragazzo non è un mostro: crede davvero che l’elettroshock possa ‘guarire’ suo figlio, vive le convinzioni del suo tempo, di quella società".
Luigi Lo Cascio interpreta Braibanti, in cui difesa all’epoca insorsero molti intellettuali italiani, da Moravia a Eco allo stesso Pasolini. "Braibanti è un personaggio enigmatico, sicuro nell’arte e fragile nelle relazioni d’amore. Un uomo che, quando deve dire la sua, sceglie il silenzio. Un silenzio enigmatico che mi ha molto colpito". Elio Germano interpreta un giornalista dell’Unità che vuole raccontare il processo senza censure, in un’epoca in cui il Pci non era certo molto aperto in tema di relazioni personali. Dice: "Sulle libertà individuali il Pci non era così progressista, né lo è, anche oggi, quel che resta di quel partito. Ad esempio, gli italiani, secondo i sondaggi, sono contrari all’invio delle armi per la guerra in Ucraina, ma non hanno una rappresentanza politica che difenda questo punto di vista. I partiti, oggi, sono incapaci di rappresentare i cittadini".
Amelio avverte. Le discriminazioni contro gli omosessuali non sono finite. "In campagna elettorale una candidata ha detto ‘accontentatevi delle unioni civili’: ma lo stesso giorno è girato il video di una donna che chiamava la polizia per aver visto due ragazzi baciarsi. Ancora oggi l’omosessualità è considerata una devianza che può turbare i bambini. Si confonde omosessualità con pedofilia: la pedofilia è il peggiore dei crimini possibili, l’omosessualità è amore. Io spero tanto – dice il regista – che questo film dia coraggio a chi non può averlo. Vorrei fosse un film ottimista, anche se parla di una delle pagine più oscure della giustizia italiana".
Infine, Amelio si mette a nudo. Racconta, in maniera molto tenera, la sua infelicità. "Sono l’uomo più disperato del mondo. Non sono felice. No, di questo film sono felicissimo, forse è la cosa più bella che ho fatto: ma la mia infelicità è personale. Ho vissuto una storia d’amore tormentata durante il film, ho scoperto le stesse fragilità di Aldo Braibanti. Forse questo ha giovato al film, ma non a me. Vi auguro di essere più felici di me". Non felicissimo, con il regista, forse anche il giornalista dell’Espresso al quale Amelio in conferenza stampa si è rifiutato di rispondere, accusandolo di aver scritto un “titolo infame” in un vecchio articolo.