Buongiorno, Etruschi. Era il saluto rivolto nel 1985, con una variegata operazione culturale, da Firenze e Regione Toscana a un popolo per loro non proprio misterioso. E ora ci pare di sentirlo rintoccare nel progetto che di nuovo fa sentire familiari quegli antichi uomini e donne, quasi di sicuro autoctoni. Italici. Originali per nascita. E per talento: capaci di restituirci miracolosamente il senso giocondo della vita, stando come semi nelle loro coloratissime case sotterranee dipinte. Ispiratori dell’arte del secolo breve: ecco allora Etruschi del Novecento al Mart di Rovereto (da sabato 7 dicembre al 16 marzo 2025) e alla Fondazione Luigi Rovati di Milano (2 aprile – 3 agosto 2025).
Due mostre, due tappe diverse e complementari, a cura di un unico team: Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Alessandra Tiddia, regia di Giulio Paolucci. Di questo illustre etruscologo accademico, la responsabilità di aver ammaliato Vittorio Sgarbi a spasso per la Tuscia: "Finisco a Chianciano Terme – ha ricordato il critico nel presentare il programma – e vedo il Museo Civico Archeologico ben ordinato con spirito teatrale di grande intensità. Chiedo chi l’ha congegnato. Certo, qualcuno per cui gli Etruschi non sono morti, ma viventi più dei classici. E così conosco Paolucci". Che della milanese giovane Fondazione Rovati, ricca di una collezione di tesori etruschi da due anni rivelati al pubblico, spesso in dialogo con differenti epoche, è conservatore. Mentre del Mart Sgarbi è presidente.
Oltre 200 opere esposte. Arte visiva e arti applicate. Prestiti significativi dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma, dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, e di Arezzo, e dell’Umbria, dall’Accademia Etrusca di Cortona, dal Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia, dal Museo Civico Archeologico di Bologna. Reperti archeologici a confronto con capolavori di artisti moderni che ai “tour etruschi”, diventati di moda con la scoperta nel 1916 del magnifico Apollo di Veio alto 2 metri (IV secolo a.C.), parteciparono. E dalle “etruscherie” furono affascinati, lasciando dichiarazioni in vari documenti, con libri, fotografie, riviste, pure riproposti ai visitatori.
Arturo Martini, pur nativo di Treviso, non aveva dubbi: "Mi son el vero etrusco". Mentre il pistoiese Marino Marini a buon diritto poteva considerarsi "un discendente degli Etruschi". Si vedranno insieme a Massimo Campigli, Alberto e Diego Giacometti, Pablo Picasso, Gio Ponti, Mario Schifano, Gino Severini. Di Michelangelo Pistoletto, L’etrusco, versione 1976 della famosa statua etrusca dell’Arringatore, posta di fronte a uno specchio, apre idealmente il tour museale del Duemila. Sgarbi cita anche artisti marginali e dimenticati: "Negli scultori toscani, ovvio, si ritrova molto di “etrusco”. In Libero Andreotti, di Pescia. E nel suo allievo Lelio Gelli. E in Eleuterio Riccardi. E in Evaristo Boncinelli, inquieto come Dino Campana... La sensibilità etrusca è istinto, condizione psicologica".
Certo, la civiltà dei nostri anticlassici eversivi progenitori risulta più vicina alla modernità del Novecento, che ha amato il disordine, la forma senza regole, l’antigrazioso. E ora come e perché riavvicinarci agli enigmatici Etruschi? "In pellegrinaggio – suggerisce Sgarbi – come D.H. Lawrence. Il romanziere de L’amante di Lady Chatterley, quasi alla fine della sua giovane vita segnata dalla tubercolosi, scopre nell’arte e nei luoghi funerari, Cerveteri, Tuscania, Vulci, l’eccezionalità dell’universo etrusco, dove il naturale fiorire della vita si dà in una mutua corrispondenza con la morte. Che non è la sua fine. Ma altrettanto bella, leggera, dolce, pacata, è la sua continuazione sottoterra".