Domenica 1 Settembre 2024
FRANCESCA CHILLONI
Magazine

"I fratelli Cervi sono ancora un esempio"

Ottanta anni fa la fucilazione per antifascismo. Il nipote Antenore: "Ci insegnano l’importanza della coerenza, della cultura, della giustizia sociale"

"L’80° anniversario della fucilazione dei fratelli Cervi per me è una data un po’ particolare: è anche il mio 80°, avevo quattro mesi quando mio padre Aldo, il politico della famiglia, è stato ucciso… Hanno sacrificato la vita per battere i criminali nazifascisti. È una ricorrenza per tutti i combattenti che hanno voluto crearci un’Italia con un po’ di democrazia. Dalla loro vita, è nata una Costituzione , la più bella di questo mondo pieno di disastri. Se fosse insegnata davvero nelle scuole non avremmo soggetti come Casa Pound, Forza Nuova o chi ci governa, con ancora appiccicata una fiamma tricolore, eletto con il 40% di astensionismo". È schietto come sempre Adelmo, cresciuto nella casa colonica nei campi tra Gattatico e Campegine che oggi è Museo. La camicia rossa da garibaldino, sempre ad alzare il pugno sinistro.

Di Cervi della sua generazione ne sono rimasti cinque, ma c’è qualcun altro che ha le chiavi di quel cascinale: è Antenore Cervi, ex presidente della Cia Agricoltori e imprenditore agricolo come quel nonno di cui porta il pesante nome. Antenore oggi e domani sarà presente alle celebrazioni di quel momento centrale della storia italiana rappresentato dal 28 dicembre 1943, quando i Sette furono fucilati dai Repubblichini al poligono di tiro di Reggio Emilia insieme a Quarto Camurri, giovane componente della Banda Cervi.

Antenore, quale è il ricordo familiare che meglio inquadra quella vicenda?

"Mio zio Luigi che racconta che vide il papà (mio nonno) con le mani alzate uscire di casa con gli zii; la mamma e le donne gli dicevano di andare via, di non guardare; la casa che bruciava, le urla".

Che messaggio ci consegnano i Cervi dopo ottanta anni?

"L’importanza della coerenza, della cultura, della ricerca di giustizia sociale. Loro erano diventati comunisti in quanto antifascisti: per opposizione. Avevano visto l’incoerenza del regime, i disastri dell’imperialismo, l’oppressione. La nostra era una famiglia fortemente cattolica. Quanto Aldo passò tre anni in carcere a Napoli, conobbe il fascismo nella sua veste più nera ma anche le teorie comuniste che per lui significavano giustizia e libertà. Le riportò a casa, ne discussero. Si allontanarono dalla Chiesa perché non si occupava della giustizia verso gli ultimi".

Fu così che dei contadini diventarono eroi?

"Loro avevano una madre che sapeva leggere e li aveva educati alla lettura. Avevano la casa piena di libri, anche proibiti. E poi come mezzadri, grazie al capofamiglia Alcide, furono i primi a ribellarsi a chi sosteneva i latifondisti: negli anni Trenta affittarono un podere pieno di buche, con nove vacche nella stalla, lo livellarono... Quando li catturarono, nella stalla c’erano cinquanta capi. Il loro fu un lungo percorso, che poi con l’8 settembre sfociò nella decisione di combattere. Non penso siano un simbolo, degli eroi diventati tali per un gesto eccezionale: erano persone che ragionavano e insieme prendevano decisioni coerenti".

Livellarono i terreni con il famoso trattore?

"Sì, con quello posto all’ingresso del museo. E con esso acquistarono anche il mappamondo: la loro era una visione di contadini che chiedevano giustizia per tutte le persone oppresse, per le classi meno abbienti, che fossero africani invasi dall’imperialismo fascista o braccianti emiliani. Prima ancora di prendere le armi, decisero di bypassare l’ammasso: accantonavano di nascosto burro e formaggio, per dar da mangiare alle persone che nascondevano e per convincere gli operai delle Officine Reggiane a sabotare i motori degli aerei da guerra".

A quante persone salvarono la vita?

"Da casa passarono circa novanta persone: americani, russi, sudafricani. Le donne cucinavano e si occupavano di loro. Mia nonna mi raccontava sempre che fu così che vide con stupore la prima persona di colore… E quelle donne, una volta vedove continuarono l’opera dei loro mariti e fratelli".

Sono diventati eroi loro malgrado?

"Sì, per questo il fascismo volle una punizione esemplare, simbolica, e insieme hanno pagato. Non è un caso che, oltre alla sera in cui furono catturati il 24 novembre 1943, la fattoria fu bruciata altre tre volte. Erano innanzitutto un esempio di coerenza. Basti pensare che la mezzadria come forma contrattuale è stata abolita solo nel 1984. Basti pensare che il comunismo con le sue mitologie non esiste più, ma oggi siamo qui ancora a celebrare i Cervi".