
Cristina Manetti scrive alla figlia nel libro “A Penelope che prende la valigia“ "Ognuna di noi può partecipare portando il proprio bagaglio di parole".
"I movimenti femministi rappresentano un unico grande viaggio, dove ogni donna può entrare con la propria valigia di parole. Siamo le storie della storia dei diritti delle donne". La valigia di Cristina Manetti, capo di gabinetto della Regione Toscana e ideatrice della “Toscana delle donne“, è un bagaglio culturale, riempito di esperienze, battaglie, conquiste, che le donne si passano di mano in mano da decenni. E lei, ora, ha deciso di passarlo alla figlia tredicenne. Dentro ci ha messo quelle parole che saranno indispensabili per la sua crescita personale. A Penelope che prende la valigia (Giunti, in libreria da oggi) è una lunga lettera dedicata alla figlia, ma non solo, è un romanzo per ragazze e ragazzi e diventerà anche uno spettacolo teatrale, un reading prodotto da Mismaonda e interpretato da Nancy Brilli, che andrà in giro per i teatri di Firenze, Bologna, Milano e Pontedera.
Come nasce l’idea della valigia di parole? "Nasce tutto dal percorso fatto con “La Toscana delle donne“, dopo un incontro incentrato sui diritti e sulle parole. Pensai al viaggio e lo proiettai sulle nuove generazioni. La valigia ne è il simbolo. Siamo tutti parte di un viaggio che non abbiamo iniziato noi, ma che decidiamo di proseguire. Tra l’altro era da poco uscito il film di Paola Cortellesi che racconta alla perfezione questo passaggio di consegne. Le parole sono tutto se usate bene".
Come ha scelto le parole da mettere in valigia? "La prima, che è “partire“, è stata necessaria. Poi sono andata a sentimento. Tutte le parole rappresentano le emozioni che si provano in un viaggio".
Ce n’è qualcuna, o più di una, alla quale è affezionata? "Tengo molto alla parola “viaggio“ perché è la più importante. Non è la meta che ci deve caratterizzare, ma le persone che si incontrano, le esperienze che si fanno. Poi mi piace anche “compassione“, perché è ciò che ti permette di sperimentare l’empatia, insegna a non giudicare. La “libertà“ è ovviamente la conditio sine qua non, non può mancare. Poi anche la “speranza“, un po’ tutte in realtà".
Sua figlia lo ha già letto? "No, ancora no. Ma sono sicura che avrà modo di farlo".
Ci sono parole che, se attribuite alle donne, nell’immaginario collettivo possono assumere un significato negativo. “Allegria“ ad esempio... "Una delle prima battaglie è proprio combattere gli stereotipi e questo è sicuramente uno di quelli. Si tratta di retaggi culturali, per cui si finisce per svuotare le parole dal loro reale significato. Il primo aspetto è proprio culturale. Ho voluto capovolgere gli stereotipi, resettare e ripartire dal vero senso delle parole. La “gentilezza“, ad esempio, la abbiamo riscoperta negli ultimi anni, nella sua capacità di migliorare i rapporti personali. Così anche “allegria“, nel suo essere contagiosa".
A proposito di stereotipi, nel capitolo dedicato alla parola “unione“ fa riferimento al grande cliché che vuole le donne in contrasto fra loro. “La Toscana delle donne“ insegna che non è così? "Esattamente. È come se fosse una grande agorà dove scambiarci opinioni, idee, aprire riflessioni su un tema che è figlio dei nostri tempi, per allargare il dibattito".
Si aspettava tutto questo quando ha messo in piedi il progetto? "Non avevo aspettative, perché il rischio è di avere poi paura di non rispettarle. Ho iniziato con la sola convinzione di fare una cosa giusta e ho lanciato il cuore oltre l’ostacolo. Era anche il momento giusto per parlare di queste cose. Poi sono molto grata di aver iniziato con Oliviero Toscani. Mi ha aiutato molto e ci siamo intesi subito".
Sta già lavorando alla prossima edizione, ci saranno novità? "Sono convinta che il cambiamento sia un elemento necessario e positivo. Ho qualche idea".
Torniamo al libro. La parola “futuro“ legata a sua figlia, a una ragazzina adolescente, che tipo di timori le suscita? "Ho paura che questa società fondata sui social, l’utilizzo morboso dei dispositivi, rubi un po’ la fantasia, impoverisca l’immaginazione. Ho paura che i giovani perdano l’occasione di stare insieme, di fare esperienze, anche di trasgredire in modo sano. Li vedo così tanto impegnati in una dimensione non reale, da correre il rischio di dissociarsi e perdere momenti importanti per la loro crescita".