Roma, 13 luglio 2023 – Attori e sceneggiatori a mano a mano contro l’industria cinematografica. Non c’è intesa sul contratto collettivo tra gli studios (rappresentati dalla AMPTP) e i rispettivi sindacati (WGA e SAG-AFTRA), e uno sciopero congiunto, quasi impensabile fino a poco fa, avrà conseguenze imprevedibili.
Le richieste dei sindacati
Il sindacato degli attori di Hollywood, la SAG-AFTRA, conta 160mila artisti, i quali presentano richieste che in certi casi si avvicinano a quelle degli sceneggiatori della WGA. In particolare, i sindacati si battono per un nuovo sistema di calcolo dei diritti d’autore che tenga conto della diversa distribuzione dei prodotti nel contesto mediatico attuale, soprattutto per quanto riguarda le piattaforme di streaming. Un secondo obiettivo, inoltre, è ottenere un regolamento più chiaro dell’uso dell’intelligenza artificiale che rappresenta una notevole minaccia alle opere artistiche.
Il nodo dello streaming
Il sistema di calcolo precedente è stato reso obsoleto dai servizi di streaming, in quanto si basava sulle repliche. Ogni volta che un prodotto cinematografico veniva comparata da un canale, una percentuale del prezzo andava agli aventi diritto. Ora su Internet il concetto di replica ha sostanzialmente perso il suo significato, in quanto tutto è disponibile sempre, riducendo sensibilmente le entrate annuali derivanti dal diritto d’autore. La proposta della SAG-AFTRA, quindi, prevede un calcolo basato sul successo delle singole produzioni, misurato tramite gli ascolti e le visualizzazioni. Secondo diversi produttori cinematografici che hanno parlato alla stampa in modo anonimo, gli studios stanno cercando di entrare in una sorta di guerra di logoramento, ‘affamando’ gli sceneggiatori e di conseguenza indebolendo ulteriormente una categoria che era già in una condizione di precarietà. I salari non stanno al passo con l’aumento del costo della vita a Los Angeles, spingendo molti sceneggiatori non famosi a lasciare la città o persino la professione.
Quanto guadagnano gli attori dalle repliche
Quello che un attore guadagna dalle repliche può variare da zero a milioni di dollari in base a molteplici fattori: il contratto in essere durante la produzione, il tempo trascorso sul set, il tipo di produzione, il mercato di riferimento, che si tratti di televisione, DVD, pay tv o via cavo, e così via. Naturalmente, conta anche il ruolo dell’attore. Solo gli interpreti principali che lavorano con contratti SAG ricevono le cosiddette royalties (insieme agli stuntmen, registi e scrittori), gli attori secondari, invece, non prendono gli assegni residui.
Gran parte degli artisti non riesce a vivere solo di assegni residui, ma alcune produzioni, soprattutto le serie tv più di successo degli anni ’90, pagano più che bene per le repliche. Un esempio famoso è ‘Friends’, rimessa in onda un numero infinito di volte in tv in tutto il mondo, che paga 20 milioni di dollari all’anno ai protagonisti, pari al 2% degli incassi a testa. Al contrario, gli attori della sitcom statunitense ‘La famiglia Brady’ non guadagnano quasi niente dalle riproduzioni. Eve Plumb, che interpretava Jan Brady nella serie, ha dichiarato a OK! nel 2011 che è un’idea sbagliata comune che il cast è diventato ricchissimo. “Non siamo stati pagati per le repliche dello show per molti anni. Non ci guadagniamo affatto”, ha affermato. Per quanto riguarda i film, invece, la percentuale dovuta dopo le repliche varia dall’1% al 20%.
Malumore anche in Italia
Intanto anche gli attori italiani si sono schierati contro i giganti dello streaming come Netflix. La collecting Artisti 7607 ha deciso di muovere un’azione legale questa primavera per impedire lo sfruttamento senza limiti di film e serie da parte delle piattaforme, dei quali non sono disponibili i dati sulle visualizzazioni, portando a una distorsione nella formulazione dei compensi. La società che tutela gli interessi di migliaia di artisti, fondata da Elio Germano, Neri Marcorè, Claudio Santamaria, Michele Riondino, Alberto Molinari e Carmen Giardina, ha denunciato, come la SAG, “l’inaccettabile chiusura negoziale da parte dei grandi utilizzatori”.