Mercoledì 26 Marzo 2025
CRISTIANA MARIANI
CRISTIANA MARIANI
Magazine

I volti di Henry Ruggeri: “Le foto e la mostra con Massimo Cotto. Adesso voglio tornare punk”

Il fotografo fa rivivere il dj nella mostra itinerante ‘Pictures of you’ che racconta trent’anni di musica

Il fotografo Henry Ruggeri

Il fotografo Henry Ruggeri

Milano, 24 marzo 2025 – A fare il fotografo si può imparare, essere un fotografo e saper cogliere l’attimo, l’espressione, l’emozione, il gesto e la suggestione è un dono. Dono che Henry Ruggeri, uno dei più importanti e talentuosi fotografi di artisti che l’Italia abbia mai avuto è un fotografo. Anzi, per molti è “il” fotografo. Le sue immagini insieme alla inconfondibile e indimenticabile voce di Massimo Cotto danno vita ‘Pictures of you’, la mostra itinerante realizzata con Rebel House e in collaborazione con Chiara Buratti.

Il fotografo Henry Ruggeri insieme a Massimo Cotto
Il fotografo Henry Ruggeri insieme a Massimo Cotto

Ruggeri, come è nata l’idea di ‘Pictures of you’?

“Da uno spunto di Massimo Cotto molti anni fa. Lui per me è sempre stato un idolo e quindi volevo trovare un’idea che fosse unica. Ho capito adesso parlando con Chiara Buratti perché lui me l’aveva chiesto: era uno spirito molto sensibile che cercava i loser. Io non sono un loser, ma ho avuto una vita molto complicato. I soggetti delle mie foto risultano quasi soli contro tutti sul palco ed è questa la loro unicità. Massimo ed io lavoravamo insieme a Virgin Radio e con lui ho diviso tanti festival: lui faceva il dj set sul palco e io facevo foto da lì. Il nostro era solo un rapporto di lavoro, poi tre anni fa l’ho chiamato e gli ho detto: ‘Vengo a pranzo da te’. Da lì gli ho spiegato l’idea: un’esposizione nella quale per la prima volta un giornalista si mette in mostra grazie a una app. E così siamo partiti. In due anni i tecnici hanno creato la app di ‘Pictures of you’”.

In trent’anni di fotografia ha immortalato tutti i più grandi, quale è la foto a cui è più affezionato?

“Sicuramente quelle ai Ramones, perché ho iniziato ad avvicinarmi seriamente al mondo della fotografia grazie a loro. Era la fine degli anni Ottanta e i Ramones suonavano al Velvet di Rimini, quindi mi sono presentato all’ingresso, mi sono finto fotografo con due borse prestate da un professionista, lui sì, del settore del mio paese. Erano quasi vuote, avevo solo una usa e getta e una macchinetta comprata in un mercatino. Sono entrato e non solo ho potuto fotografare i Ramones, ma ho conosciuto anche il loro fan club e ho iniziato a lavorare in una fanzine. Non servivano grandi doti tecniche. In cambio andavo a vedere i concerti e incontravo gli artisti. Per vent’anni ho fatto la gavetta, ho inviato richieste alle testate per andare ai concerti e non sempre mi hanno risposto. Tutto però è cominciato con i Ramones. Altre foto che amo? Una qualsiasi dei Depeche Mode, perché li ho odiato fino a che un amico mi ha fatto andare a un loro concerto nel 2007. Da quel momento ho iniziato ad amarli profondamente, dal vivo sono incredibili. Poi con Dave Gahan vado d’accordo: sottopalco si mette sempre a favore del mio obbiettivo. Con i Muse, ad esempio, succede il contrario”.

Chi invece le manca nella sua collezione di volti, ma che invece avrebbe voluto fotografare?

“L’unico che ho visto dal vivo e che non sono riuscito a fotografare è stato David Bowie. Ammettevano solo dieci fotografi, una volta sono finito undicesimo e quindi non ho potuto scattare. Adesso mi piace frequentare tanti festival in Europa d’estate alla ricerca delle nuove band. Sono diventato amico dei The Idles e dei Fontaines Dc quando ancora non erano conosciuti. La mia nuova sfida è ritornare punk e prendermi la soddisfazione di scoprire nuovi artisti”.