Gianni Minà, mito del giornalismo italiano, e Diego Armando Maradona, monumento del calcio mondiale. Un rapporto di stima sfociato in sincera amicizia. A unirli l'amore per l'America Latina e Cuba, la passione per il calcio vissuto con spirito bambino e fervore romantico, la solidarietà nei confronti degli ultimi del mondo, le convizioni politiche saldamente di sinistra. "Insieme a quella di Mennea - disse Minà in un'intervista di qualche mese fa - la sua morte mi ha dato un dolore immenso".
Da Napoli all'America Latina
Minà, morto oggi dopo una breve malattia cardiaca, "intercettò" Maradona al suo arrivo in Italia, nel 1984, quando fin dalla presentazione all'allora San Paolo, il Pibe de ore stregò la tifoseria azzurra e l'intera città. Il giornalista torinese, da sempre capace di sintonizzarsi sulle linee più recondite dei grandi campioni dello sport, delle stelle dello spettacolo e dei big della politica, seppe conquistarsi in breve tempo la fiducia di Diego. Numerose le interviste condotte con il numero 10 più grande che sia mai transitato su un campo da calcio. Per i quotidiani con cui Minà ha collaborato nel corso degli anni, ma anche per la tv.
A Diego Minà dedicò un reportage nel 2001. "Maradona, non sarò mai un uomo comune" è un ritratto a tutto tondo, denso di amore, che racconta uno degli anni più difficili del campione argentino, allora da poco quarantenne. Vent'anni dopo quel documentario si è trasformato in un libro, pubblicato per Minimum Fax, in cui alla riproduzione delle interviste si aggiungono ricordi personali dell'ex conduttore della Domenica Sportiva, riguardanti il suo rapporto con l'eroe dei Mondiali del 1986.
L'affetto e l'ammirazione
"Non ho mai voluto giudicarlo", ha detto in più di un'occasione Minà, che in Maradona ha visto - prima degli altri - il genio ribelle impegnato a combattere una battaglia senza speranza contro un mondo del pallone sempre più robotizzato e sacrificato al dio denaro. Resta nella storia l'episodio risalente ai Mondiali degli anni '90, quando il Pibe de Oro guidò l'Argentina alla seconda finale consecutiva contro la Germania, servendo uno dei dispiaceri più lancinanti all'Italia del calcio. Prima della semifinale di Napoli con gli azzurri Maradona chiamò Minà e gli promise che gli avrebbe concesso un'intervista, a prescindere da quello che sarebbe stato l'esito del confronto, arroventato da polemiche su un presunto tifo per l'Argentina da parte del pubblico partenopeo.
Al termine della partita Maradona, ancora in accappatoio, fendette la folla di giornalisti che cercava di strappargli una dichiarazione. "Parlo solo con Minà". Attese - ha ricordato il giornalista - che terminasse un'intervista con un dirigente federale e poi si confessò, togliendosi qualche sassolino dalla scarpe, per una ventina di minuti. Quel colloquio - è sempre Minà a dirlo - fu richiesto anche dalle tv argentine.
Il commosso ricordo
Alla morte di Maradona non mancò un commosso ricordo da parte dell'amico e del confidente, l'unico giornalista che, forse, è riuscito a comprendere Diego fino in fondo. "Dalla polvere di Villa Fiorito, nella provincia di Buenos Aires, dove è cominciata la sua avventura di più grande calciatore mai nato - scrisse Minà - alla militanza politica nei partiti progressisti latinoamericani per i quali ha dato molte volte la propria faccia. Nessun calciatore è mai arrivato a tanto. Diego, per una ironia del destino, se n’è andato da questo mondo lo stesso giorno di un altro gigante, Fidel Castro. Alla fine li rimpiangeremo, come succede a chi ha lasciato una traccia indelebile nel gioco del calcio e della vita. E ora silenzio. Il suo prezzo al mondo del pallone lo ha pagato da tempo".