Roma, 25 gennaio 2025 – No, non c’è da scomodare Francesco Guccini di “Piccola città / bastardo posto”. Anche perché Gianfranco Manfredi era anche un cantautore e lui le canzoni le scriveva di getto. Così come poteva essere un saggio su Rosseau o uno invece su Lucio Battisti.
Un cantautore emigrato, perché a otto anni partì dal mare per raggiungere Milano. Senigallia, spiaggia di velluto, la piccola città: anche se fa 50mila anime e d’estate si moltiplica. Con un detto che fa parte ormai del suo Dna: mezza canaja. In un’intervista, uscita qualche anno fa proprio sul Carlino, ricordava come quel detto così dissacrante lo rappresentasse appieno. D’altronde, se si scorre ora la sua carriera dopo che la sua vita è giunta al capolinea (ieri, a 76 anni, dopo 24 mesi a combattere contro una malattia), definirla trasversale è quanto meno naturale. Da Senigallia a Milano, gli studi, la chitarra e le canzoni. Canzoni che entrano di diritto nella storia della canzone politica italiana. Sono gli anni di piombo, dell’autonomia e della sinistra extraparlamentare, una zona d’influenza per i testi di Manfredi. Dove la rabbia generazionale (che spesso sfocerà in violenza politica) si mescola all’altra palestra culturale in cui si è formato la redazione di Re Nudo, in cui affina quell’intreccio di parole che si muove tra l’impegno, la goliardia e il situazionismo allo stato puro. In una delle sue canzoni più conosciute trasforma un espoprio proletario in ballata: “T’ho incontrata a Quarto Oggiaro davanti al supermercato saccheggiato”. Siamo già al secondo album Ma non è una malattia (1976). Qualche anno prima al debutto (1972) con La Crisi aveva cantato Sei impazzita per Marcuse
(“Marx è messo sulla testa
Con la barba per l’ingiù
Hegel era un comunista
Ma Marcuse anche di più”).
Negli anni del riflusso dalla canzone politica arriva fino a Vanzina: tra sceneggiature e comparsate da attore, passa infatti da Liquirizia di Salvatore Samperi (1979) a Via Montenapoleone di Carlo Vanzina (1986).
Ma la terza vita di Manfredi, quella forse ancora più interessante, è da sceneggiatore di fumetti. Il suo nome è legato infatti a Magico Vento (dal 1997 al 2010). Una collaborazione solida con la Sergio Bonelli editore che ieri l’ha voluto ricordare affidandosi a un’immagine che la figlia Diana ha inviato. C’è Magico Vento che cavalca, accompagnato dal saluto dei Lakota Sioux: Mitakuye Oyasin. “Siamo tutti connessi – si legge sul sito della Sergio Bonelli editore – ovvero facciamo tutti parte della comunità degli esseri umani, siamo un tutt’uno con la dimensione naturale della terra, del vento, del sole e dell’acqua. Il modo scelto da Gianfranco per salutare tutti i lettori”. Un commiato migliore (e terreno) non poteva esserci.