Venerdì 18 Aprile 2025
FRANCESCO GHIDETTI
Magazine

Ecco chi era l’unica donna dei Mille di Garibaldi

La Montmasson, moglie di Crispi, partecipò alla spedizione

Garibaldi e i suoi Mille in un famoso dipinto di Guttuso

Sono Mille. Giovani e forti. E liberano il Meridione dal Borbone. Giovani di indubbio ardore patriottico, guidati dall’Eroe per eccellenza: Giuseppe Garibaldi. Ma non tutti sanno che tra loro c’è anche una donna.  Si chiama Rosalia. Di cognome fa Montmasson, nata a Saint-Jorioz, nell’Alta Savoia. Se avete la pazienza di scorrere L’album dei Mille, al numero 338, la trovate. Sguardo fiero, occhio di chi non ha tempo da perdere. E vorremmo vedere il contrario.    Rosa, come la chiamano tutti, è protagonista dell’episodio più bello, decisivo e commovente della storia italiana, la Spedizione dei Mille, appunto. Ma soprattutto ama alla follia Francesco Crispi. Ecco, probabilmente il vero eroismo di Rosa è questo. Quel siciliano altezzoso e borioso, fermamente convinto che la politica sia l’unica attività umana degna di essere vissuta (fu sua una profonda riforma dell’amministrazione centrale dello Stato che, tra l’altro, prevede l’introduzione della figura del sottosegretario), garibaldino e mazziniano, poi nazionalista che aspira a un’Italia in competizione con Gran Bretagna e Germania. Parlamentare di primo piano (quest’anno ricorre il duecentesimo anniversario della nascita, avvenuta il 4 ottobre 1818 a Ribera, laddove gli aranceti di Sicilia fanno meraviglie), poi capo del governo e libertino impenitente.    Ecco, quest’ultimo punto, narratoci con rara bravura da una scrittrice siciliana, Maria Attanasio (La ragazza di Marsiglia per Sellerio), è decisivo per capire come l’unica donna dei Mille – ma non del Risorgimento – abbia passato, proprio per un amore unico e mai rinnegato, le pene dell’inferno. Rosa, infatti, si sposa con Crispi a Malta – ove sono in esilio – nel 1854. Ma poi, dopo mille avventure, l’amore sfiorisce e, siamo nel 1878, Crispi, assurto oramai alle vette della politica europea, sposa Lina Barbagallo. Matrimonio consumato in casa perché meno si sa e meglio è. Il motivo? Il rischio di accusa di bigamia, all’epoca reato gravissimo. Reato che, dopo le rivelazioni di un giornale, gli viene contestato tanto da costringerlo a dimettersi dalla presidenza del Consiglio. Carriera finita? Macché. Con un’incredibile serie di papocchi da azzeccagarbugli Crispi è assolto e il matrimonio maltese del 1854 dichiarato non valido (invece lo è). Però, oltre al danno per una donna che continua lo stesso ad amare il suo ‘Fransuà’ con immutata passione si aggiunge la beffa. 

Sulla Montmasson viene operata, come ben dimostra la Attanasio (autrice già nota agli appassionati di cose letterarie), una rimozione totale. Il che non vuol dire, sia chiaro, che il ‘fattaccio’ non sia stato studiato. Pensiamo solo al Ministro e le sue mogli di Enzo e Nicola Ciconte. Ma l’operazione – oggi la definiremmo mediatica – di damnatio memoriae è impressionante. Violenta. Talmente violenta che raggiunge il suo scopo: Rosa scompare nelle pieghe della Storia. Attanasio scrive dunque un romanzo di riabilitazione. Anzi: più che di romanzo, qui trattasi di indagine letteraria, condotta con sicuro rigore filologico. Gli unici a non dimenticarsi di Rosa sono Garibaldi (con quel viziaccio di schierarsi sempre dalla parte dei più deboli...) e il dottor Agostino Bertani, mente della Spedizione dei Mille assieme a Crispi.  Però, come spesso nei grandi drammi d’amore, quel che non ti aspetteresti è che, nonostante tutto, i due, Rosa e Fransuà, una volta divenuti vecchietti, riprendono a frequentarsi. Basta uno sguardo per capirsi al volo. E, chissà, per ripensare alle loro vite rigogliose di passioni. Una volta in Sicilia, poi a Marsiglia, quindi a Londra e a Malta nonché nelle tre capitali d’Italia: Torino, Firenze (dove una lapide, commovente nella sua semplicità, in via della Scala, a due passi da Santa Maria Novella, ricorda il loro lungo soggiorno) e Roma. Non c’è niente da dire. Il vecchio detto «il primo amore non si scorda mai» è assoluta verità. Anche se, nel furore della battaglia politica e per un qual certo cinismo, lo hai umiliato. Vergognosamente.