di Simona Ballatore
L’alluvione di Firenze del 1966 sembrava aver messo “a tacere“ un taccuino prezioso, scritto di pugno da Carlo Emilio Gadda. Per troppo tempo era rimasto intrappolato nel fango, al punto da “sbriciolarsi“ al tocco. L’inchiostro – anzi gli inchiostri – erano stati dilavati dalle acque dell’Arno. Quegli appunti, che erano custoditi nel Gabinetto Vieusseux, tornano ora a narrare gli anni della Grande Guerra e la prigionia dello scrittore, le sue emozioni, a elencare i commilitoni tra i ricordi, a fare la conta dei muli – chiamati per nome – sui campi di battaglia e a rievocare le sue interminabili notti "di tristezza calma". A compiere l’impresa il Laboratorio Arvedi dell’Università di Pavia in tandem con il Dipartimento di Fisica della Statale di Milano e su impulso del “Centro Studi Gadda“ dell’ateneo pavese. Una squadra collaudata, che unisce chimici, fisici ed esperti di diagnostica a storici e umanisti.
"Riuscire a vedere quel che non si vede" è il compito affidato a Marco Gargano, fisico che si occupa di ricerca nell’imaging applicato all’arte e professore di Diagnostica di Statale e Accademia Brera, forte di 18 anni di indagini sul campo a scovare dettagli non visibili agli occhi con altri tipi di lunghezza d’onda come ultravioletti e infrarossi. Si è occupato anche del Quarto Stato, cerca nei dipinti e nei documenti anche il tratto di disegno nascosto sotto strati di colori, i “pentimenti“, le cancellature, come ha fatto, sempre insieme al laboratorio Arvedi, anche con gli scritti del Manzoni. Sotto la loro lente sono passati centinaia di dipinti tra i quali Leonardo, Giotto, Caravaggio, Perugino, Boccioni, Fontana, molti papiri e pure i portelli di una chiusa leonardesca. "Quando il taccuino è stato raggiunto dalle acque dell’Arno i restauratori hanno tentato di consolidarlo, di proteggerlo, con un intervento d’emergenza, incollando della carta giapponese sulle pagine – spiega Gargano, dal Laboratorio di Diagnostica applicata all’arte di Milano –. Quindi si è presentato un problema duplice: l’acqua aveva dilavato l’inchiostro presente sulle pagine e la carta giapponese copriva quello che di poco era rimasto. Abbiamo cercato di tirare fuori piccole tracce utilizzando lunghezze d’onda diverse e algoritmi di elaborazione di immagine".
Altro ostacolo: "Gadda non ha usato un solo tipo di inchiostro ma tre – racconta Marco Malagodi, chimico del Laboratorio Arvedi di Cremona, che si è specializzato in diagnostica applicata ai Beni Culturali nei più importanti centri di ricerca italiani ed internazionali – . Erano solo organici e probabilmente costituiti da anilina. Ciascuno dei tre inchiostri ha reagito in modo differente all’acqua, creando altre variabili. Anche la carta usata era di scarsa qualità, conteneva lignina, che a contatto con l’acqua ha comportato macchie vistose sulla pagina e altre difficoltà di lettura". Non si sono arresi i detective dei beni culturali continuando le indagini su inchiostri e carta. "Abbiamo usato gli infrarossi per vedere cosa si nascondeva sotto gli strati di sporco e un approccio multispettrale per amplificare le piccole tracce rimaste. Sempre al servizio degli storici e degli umanisti che poi dovranno leggerle", racconta Gargano.
I lavori sono ancora in corso, ma sulla novantina di pagine del taccuino di Gadda (45 aperte) si conta di recuperarne il 60-70%. "Alcune di queste sono già nelle mani dei filologi del Centro Studi di Gadda, che possono decifrare e unire i pezzi mancanti, restituendo una pagina della letteratura e della storia preziosa. Questo taccuino è molto importante, Gadda fu prigioniero austriaco e quando venne portato in Germania riuscì a tenere il diario con sé – ricorda ancora Malagodi –. Ci sono pagine descrittive, momenti drammatici, c’è la sua precisione e “pignoleria“ con cui annotava ogni singolo dettaglio. Fino ad ora non è stato possibile leggerli. Il taccuino è stato restaurato con corde di tenuta e sul Gaddus, la rivista del centro studi dell’ateneo, nel 2023 verranno pubblicati i risultati della ricerca. Le sue parole saranno decifrate". Grazie alla scienza si illumina la cultura umanistica e viceversa: Gadda, d’altronde, era pure ingegnere. Si chiude un cerchio. "Quando i due mondi si incontrano i risultati non possono che essere straordinari".