Sono ormai decenni che gli scienziati si interrogano su uno dei comportamenti più bizzarri della Formica archboldi, una specie che decora le proprie tane con i gusci vuoti delle loro prede predilette, le formiche Odontomachus, soprattutto privilegiando le teste. Alcune interessanti risposte sono arrivate grazie a un recente paper pubblicato sul magazine Insectes Sociaux e scritto da Adrian Smith, biologo della North Carolina State University.
LE FORMICHE CHE CONSERVANO I RESTI DELLE PREDE
Per prima cosa, Smith ha dovuto rispondere a un'altra domanda e cioè come mai la Formica archboldi è così efficace nell'uccidere la Odontomachus, che è più grande di lei, più veloce e ha mandibole letali (si chiudono a una velocità record di 0,3 millisecondi). Apparentemente, la chiave di volta è la capacità di spruzzare contro le avversarie dell'acido paralizzante: una soluzione che molte specie di formiche utilizzano in ottica difensiva e come ultima risorsa, ma che la Archboldi sfrutta come arma d'attacco, da impiegare alla prima occasione utile.
È UNA QUESTIONE DI ODORI
Una volta colpito l'avversario, la Archboldi lo trascina nel proprio nido e se ne ciba, smembrandolo. Per quale ragione, però, non getta ciò che rimane come fosse un rifiuto qualunque? A riguardo, sottolinea Adrian Smith, si può parlare solo di ipotesi, in attesa che ulteriori ricerche chiariscano meglio la questione: sembra però ragionevole ritenere che i resti della Odontomachus servano come mimetizzazione olfattiva. Le formiche, infatti, si affidano agli odori per distinguere gli alleati dai nemici ed è dunque possibile che la Archboldi sfrutti la traccia olfattiva delle prede ormai morte per ingannare nuove vittime.
EVOLUZIONE NATURALE E COMPORTAMENTI ACQUISITI
Una conferma di questa ipotesi aggiungerebbe un tassello importante alla comprensione del comportamento delle formiche "cacciatrici di teste": gli scienziati sanno infatti che questa specie ha subito un'evoluzione che le ha dato una traccia chimica simile all'odore delle Odontomachus, così da potersi mimetizzare fra di esse. L'abitudine di conservare i loro resti rientrerebbe dunque in un comportamento acquisito allo scopo di migliorare la sicurezza dei formicai, riducendo il rischio che la mimetizzazione naturale fallisca.
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