Milano, 10 dicembre 2024 – Essere, non essere o essere ancora? Questa volta la risposta giusta è la terza. Considerando che Filippo Timi torna sul luogo del delitto (teatrale). Lì dalle parti di quel Principe di Danimarca che segnò per lui una svolta decisiva. Almeno come regista. Era il 2010. Il resto è storia. A distanza di quattordici anni, una nuova versione. E pazienza che nel frattempo siamo tutti un po’ meno giovani, matti, furiosi. Amleto² è una sorta di seconda edizione al quadrato, da oggi al 31 al Franco Parenti. Una riscrittura. Divertita e anarchica. Che sragiona di teatro per raccontare della vita. Insieme a Elena Lietti, Lucia Mascino, Marina Rocco e Gabriele Brunelli.
Filippo, perché tornare all’Amleto?
"È stata la prima volta che portavo in scena qualcosa. E anche la prima in cui probabilmente mi domandavo se ero sincero con me stesso, se davvero mi considerassi un artista, se mi meritavo che le persone pagassero un biglietto per vedermi. E tutto questo a teatro, un luogo dove mi sento dio: scrivo, dirigo, scelgo, interpreto. Forse a cinquant’anni sono di nuovo lì a domandarmi le stesse cose. Ma per fortuna ora conosco la vera regola dei pirati".
Ce la confidi.
"D’accordo ma è un segreto. Anche il fatto che me la sono inventata. La regola afferma che la prima volta che vai in scena, è come se avessi una mappa con cui devi convincere tutti che li accompagnerai a un tesoro. Ma i pirati veri, quando trovano la cassa piena d’oro, scavano ancora più a fondo. Perché sanno che il primo tesoro è per chi si accontenta, solo dopo arriva la grotta di diamanti. Questa cosa io la ripeto sempre agli attori. E considera che all’epoca quando abbiamo cominciato, solo Lucia Mascino aveva già fatto teatro. Elena Lietti e Marina Rocco erano al debutto".
Scavare non è un rischio?
"No, per i pirati l’unico rischio è quello di perdere l’occasione. E poi oggi siamo 14 anni più bravi".
Quindi essere o non essere?
"Ecco, questo è il momento di domandarselo. Mentre i parenti muoiono, i genitori invecchiano. Ed è uno di quegli interrogativi che da giovane vedi in bianco e nero. Col tempo intuisci invece che il non essere è parte dell’essere, così come la morte appartiene alla vita. La sfida è riuscire a sopportare il nostro impercettibile scomparire, che ben si presta come metafora del teatro".
Sembra sempre in cerca di qualcosa.
"Ma so che bisogna partire dall’adesso, l’oggi ha più valore di qualsiasi altra cosa. In questo mi sento presente a me stesso". Cose belle di questi 14 anni? "Partirei dal fondo: Dostoevskij, la serie tv dei fratelli D’Innocenzo appena uscita su Sky. Mi hanno fatto sentire dentro la Cappella Sistina con la loro cura, la loro profondità di scrittura. E poi sono fiero di questo Amleto, accolto in maniera incredibile e da cui voglio il massimo da tutti".
Guardandosi dietro cosa cambierebbe?
"Le scelte artistiche me le tengo tutte. A volte i risultati sono stati deboli ma gli incontri importanti. Mi spiace invece di essere stato superficiale di fronte a molte cose. Ma io non ho mai avuto un cazzo nella vita e quando è così pensi che se non sarai tu a badare a te stesso non ci penserà nessuno. La fame è brutta, ti rende egoista. Con la maturità inizi a capire. E a scavare. Non solo sul palco".
Ora la fame è passata?
"C’è sempre. Come quando sei cicciotto da piccolo: anche se diventi magro, ti sentirai tutta la vita un po’ rotondetto. Ecco, io ogni tanto mi ricordo di essere un poveraccio. Nonostante il lavoro e i guadagni. Non sai quante volte apro il frigo e ceno con un pezzo di formaggio grana. Prima perché non avevo altro, oggi perché ho fatto andare a male tutto il resto".
Quindi basta il grana.
"È quella la verità. E ricordarsi che un fiore con un sasso sopra sbuca uguale dal terriccio, pur in maniera diversa da come pensava mamma. Magari solo un po’ più storto, con una curvetta di pensiero a sinistra e una pacchetta di culo a destra".
Quindi chi è Amleto?
"È uno che si fa domande. Che chiede a Ofelia come può amarla sapendo di non poterla salvare. Che prova a credere in qualcosa nonostante l’impossibilità di arrivare all’infinito. Perché anche se si ha paura, non rimane che amare e vivere".