Roma, 16 agosto 2017 - Uomini di cui hanno rotto lo stampo. Carlo Fecia di Cossato, un nome che non dice nulla ai più, ma apparteneva a uno dei comandanti di sommergibile più audaci della Marina italiana, un ufficiale che seppe coniugare alle più aggressive doti combattive, eccezionali virtù di cavalleria e umanità. La sua dedizione al dovere e la fedeltà al giuramento prestato lo condussero a un conflitto interiore dal quale scelse di tirarsi fuori con una pallottola alla tempia. Rimane una figura emblematica della lacerazione che, l’8 settembre 1943, devastò la coscienza di tanti combattenti. Proveniente da una famiglia comitale piemontese di onorata tradizione nella Marina sabauda, Carlo Fecia di Cossato, appena Tenente di Vascello, partecipò alla guerra di Spagna in audaci missioni. Con l’inizio delle ostilità nella seconda guerra mondiale passò presto a comandare l’Enrico Tazzoli, uno dei trenta sottomarini italiani della base di Bordeaux (Betasom) che, insieme agli U-Boot tedeschi, dovevano affrontare i temibili marosi dell’Oceano Altantico. Il giovane comandante aveva una figura snella e aristocratica, era tanto cordiale e riservato nella vita quotidiana, quanto acceso e determinato nel pieno dell’azione. “Io intendo partire con gente pronta a tutto. Se qualcuno vuole sbarcare, lo dica subito”: con queste parole aveva apostrofato il suo equipaggio di volontari che lo adorava. Naturalmente, nessuno si tirò indietro.
Nell’Atlantico, Fecia mandò a picco circa 100.000 tonnellate di naviglio nemico raggiungendo il primato: mercantili, incrociatori, motonavi, piroscafi inglesi, americani, norvegesi, ma ogni volta avvertiva in anticipo gli equipaggi delle navi nemiche in modo che potessero salvarsi. Quando la stampa Usa dileggiò la Marina italiana, sostenendo che nessuna nostra nave avrebbe osato avvicinarsi alle coste americane, per tutta risposta Fecia di Cossato silurò un paio di navi proprio nelle acque statunitensi, sventolando il Tricolore davanti ai naufraghi sulle scialuppe e raccomandando loro di riferire cosa aveva saputo fare la Regia Marina. Non solo navi: con la mitragliera di bordo abbatté persino un quadrimotore inglese che aveva deciso di dargli la caccia. L’ 8 settembre fu per lui un dramma: ora avrebbe dovuto affondare le navi di quello stesso paese che lo aveva onorato con la Croce di Ferro di prima e seconda classe. Per quanto passare al nemico ripugnasse alla sua etica militare, aveva giurato fedeltà al Re e obbedì senza batter ciglio. Furono sette le unità tedesche che, al comando della torpediniera Aliseo, Fecia di Cossato affondò a cannonate dopo aspro combattimento.
Nel giugno del ’44 cambia il governo: Badoglio lascia il posto a Ivanoe Bonomi, ma a questo punto il comandante cala l’ancora: il nuovo governo non ha giurato fedeltà al Re e lui non lo riconosce. Chiede così di essere esonerato dal comando. Viene messo agli arresti, poi, temendo insurrezioni da parte degli equipaggi, i superiori lo allontanano a Napoli. Per l’eroe, Medaglia d’Oro al Valor Militare, tutto è crollato: la Patria, la Marina, la Monarchia. Due mesi dopo, il 27 agosto del ’44, dopo aver tentato invano di essere ricevuto dal principe Umberto e nell’impossibilità di raggiungere la propria famiglia, si spara lasciando parole pesanti come macigni: “Carissima Mamma, da nove mesi ho molto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, a cui mi sono rassegnato solo perché ci é stata presentata come un ordine del re. Tu conosci cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi ci circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso. Spero, mamma, che mi capirai e che anche nell'immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai capire la nobiltà dei motivi che mi hanno guidato”.